Il DSM-IV (American Psychiatric Association, 1994), all’interno del Disturbo Post-traumatico da Stress (PTSD), definisce il trauma come «un fattore traumatico estremo che implica l’esperienza personale diretta di un evento che causa o può comportare morte o lesioni gravi, o altre minacce all’integrità fisica; o la presenza ad un evento che comporta morte, lesioni o altre minacce all’integrità fisica di un’altra persona; o il venire a conoscenza della morte violenta o inaspettata, di grave danno o minaccia di morte o lesioni sopportate da un membro della famiglia o da altra persona con cui è in stretta relazione (Criterio A1).
La risposta della persona all’evento deve comprendere paura intensa, il sentirsi inerme, o il provare orrore (oppure, nei bambini, la risposta deve comprendere comportamento disorganizzato o agitazione) (Criterio A2). I sintomi caratteristici che risultano dall’esposizione ad un trauma estremo includono il continuo rivivere l’evento traumatico (Criterio B), l’evitamento persistente degli stimoli associati con il trauma, l’ottundimento della reattività generale (Criterio C), e sintomi costanti di aumento dell’arousal (Criterio D). Il quadro sintomatologico completo deve essere presente per più di 1 mese (Criterio E), e il disturbo deve causare disagio clinicamente significativo o menomazione del funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti (Criterio F)» (American Psychiatric Association, 1994o).
Fra le condizioni estreme rientranti nel criterio A di questa classificazione si possono quindi includere gli incidenti con mezzi di trasporto (automobili, treni, aerei, etc.), disastri naturali e provocati, atti criminosi, gravi incidenti sul lavoro (in prima persona o anche a persone affettivamente vicine), malattie gravi, potenzialmente mortali o gravemente menomanti (proprie o di persone vicine), la morte di persone vicine, lo stato di guerra, la tortura, la grave e/o prolungata violenza fisica verso i bambini o le partners, l’abuso sessuale. In realtà queste condizioni estreme sono solo quelle richieste per porre una diagnosi di PTSD secondo il DSM-IV, e non le sole che è razionale considerare traumatiche (Briere, 1997). Altre condizioni traumatiche possono certamente essere quelle dell’abuso psicologico, della presenza di accesi e costanti attriti familiari, la separazione ed il divorzio (vissuti o meno nell’infanzia), condizioni di abuso fisico meno tragiche e relazioni sessualizzate fra un genitore ed il figlio (senza che ciò esiti mai in un abuso sessuale in senso stretto), la mancanza di sintonizzazione emozionale nell’infanzia (Rodin, de Groot, Spivak, 1998), importanti cambiamenti di vita e così via.
Tali condizioni, infatti, non rispettano il criterio A1 del DSM-IV, ma nondimeno possono soddisfare il criterio A2, nelle specifiche della paura intensa, dell’impotenza e dell’orrore, e come tali avere un esito post-traumatico, ed inoltre possono rispettare anche gli altri criteri posti dal DSM-IV.
Alla stessa stregua, i sintomi ed il decorso caratteristici associati al trauma non sono necessariamente quelli indicati dall’algoritmo diagnostico del PTSD. Infatti, il DSM-IV riconosce altre patologie connesse direttamente allo stress: il Disturbo Acuto da Stress, il Disturbo Psicotico Breve con Rilevante Fattore di Stress e i Disturbi dell’Adattamento. Esistono poi altre classificazioni psicopatologiche molto rilevanti per il clinico, ma non incluse nel DSM-IV, come il “PTSD complesso” (Herman, 1992) e la “depressione post-traumatica” (Davidson, 1994); un ruolo fondamentale nella comprensione della fenomenologia post-traumatica è ricoperto dai Disturbi Dissociativi – tipicamente connessi ad esperienze traumatiche (Briere, 1997; Lynn, R – che sono tra loro unificati dall’impiego del comune meccanismo dissociativo, una modificazione nella coscienza e/o nell’esperienza tesa alla riduzione dell’impatto con emozioni disturbanti (su alcuni nodi teoretici relativi al costrutto di dissociazione si veda Cardeña, 1994). La stessa classificazione diagnostica dei Disturbi Dissociativi presenta problemi concettuali importanti e controversi, come si evidence dalle differenze presenti tra le classificazioni del DSM-IV e dell’ICD-10 (Organizzazione Mondiale della Sanità, 1994).
Altri disturbi sono a volte connessi ad esperienze traumatiche, limitate o protratte nel tempo, in particolare il Disturbo di Conversione, il Disturbo di Somatizzazione, il Disturbo Borderline di Personalità, i Disturbi dell’Alimentazione, i Disturbi Sessuali e dell’Identità di Genere, i Disturbi d’Ansia, la depressione e quella vasta area psicopatologica genericamente definibile come patologie del legame di attaccamento (Bremner et al., 1998; Briere, 1997; Crittenden, 1994, 1999; Giannantonio, 2000; Lynn, Rhue, 1994; Pennati, 1994; Vanderlinden, Vandereyken, 1997). Di fronte a questo panorama così articolato (sul quale in questo contesto è fuorviante soffermarsi ulteriormente) molti autori ritengono che le situazioni traumatiche debbano essere considerate non solo il precedente di specifiche diagnosi specificatamente post-traumatiche, ma elementi etiologici fondamentali e trasversali a molteplici condizioni psicopatologiche (Bremner et al. 1998). Ma, in base a quanto precedentemente detto, la situazione si complica ulteriormente se consideriamo che il concetto stesso di trauma in letteratura è estremamente confuso, una vera “parola ombrello” che incorpora considerazioni teoretiche e cliniche provenienti dalle più svariate origini. Tale condizione di confusione teoretica è stata probabilmente inaugurata dallo stesso Freud, il quale ha cercato ripetutamente ma senza un esito soddisfacente di racchiudere all’interno di una stessa cornice concettuale 1) la reazione ad un trauma inteso come evento esterno che soverchia le capacità di difesa e di adattamento di un individuo e 2) il processo di difesa rivolto verso pulsioni inaccettabili (Giannantonio, 1993; Novelletto, 1995).
In linea generale possiamo dire che una parte scientificamente rilevante delle teorie sui traumi presuppongano, spesso implicitamente, l’esistenza di una naturale tendenza dell’organismo umano ad integrare le informazioni provenienti dall’ambiente interno ed esterno per produrre un senso unitario e coeso di continuità fisica e psichica (Freud, 1922; Horowitz, 1986; Liotti, 1993; Sandberg, Lynn, Green, 1994). E’ possibile pensare che, quando tale attività di integrazione viene significativamente ostacolata tanto che informazioni specifiche restano inassimilate o malamente assimilate a causa di meccanismi psicologici, neuropsicologici o biochimici, allora possiamo parlare dell’esistenza di un “trauma” se è possibile evidenziare un “significativo” disagio soggettivo o oggettivo in una delle principali aree di vita della persona. Questa opzione teoretica non è certo l’unica possibile, ma tenta di riportare il caleidoscopio della fenomenologia e della eziologia traumatica all’interno un unico frame teoretico, lasciando ad ogni variabile la propria specificità. Nonostante le difficoltà che tale concezione comporta, sono ugualmente convinto della sua piena opportunità, in quanto può essere un solido punto di partenza per valutare le differenti modalità con cui la tendenza all’integrazione viene ostacolata da molteplici fattori.
L’articolazione problematica di questa opzione teoretica diventa comunque immediatamente evidente se pensiamo ai seguenti elementi:
1) Le informazioni escluse non sono essenzialmente cognitive, ma coinvolgono ogni elemento dell’esperire umano.
2) In tale integrazione inefficace sono coinvolti molteplici sistemi di memoria (procedurale, episodica, semantica, per immagini sensoriali).
3) I meccanismi ipotizzati nella integrazione ostacolata sono i più diversi: evitamento, dissociazione, rimozione, repressione, alterazioni biochimiche e neurologiche, memoria stato-dipendente (Banyard, Williams, 1999; Bremner et al., 1998; Erdely, 1990; Reviere, 1996).
4) Eventi frequenti ed eccezionali o devastanti vengono etichettati con lo stesso termine di “trauma”.
5) L’esito dell’esposizione ad un trauma è connesso certamente alla “grandezza” ed alle caratteristiche del trauma, ma anche ad altre variabili, quali, innanzitutto, caratteristiche pretraumatiche specifiche della persona, la risposta soggettiva della persona ed il supporto sociale (Briere, 1997; Eisen et al., 1999).
6) In realtà non si ha mai a che fare con traumi, ma solo con ricordi di traumi, il che implica che la psicoterapia ha come oggetto il ricordo del paziente, amalgama fra ciò che è stato codificato al momento dell’evento, le conoscenze all’interno delle quali l’evento è stato integrato, l’interpretazione del significato delle informazioni, le strategie ed il contesto del recupero, i precedenti accessi ai ricordi (Briere, 1997). Ogni ricordo, quindi, è una costruzione soggettiva e mai definitiva di fatti oggettivi a priori inconoscibili, e ciò apre e conduce inevitabilmente alla questione dei cosiddetti falsi ricordi (Pope, Brown, 1996, Hyman, Kleinknecht, 1999).
7) La complessità di queste interrelazioni implica la necessità di un’assessment molto articolato nella valutazione degli esiti post-traumatici (Briere, 1997; Wilson, Keane, 1997) e di specifiche metodiche terapeutiche (Maldonado, Spiegel, 1994; Shapiro, 1995; Phillips, Frederick, 1995; Pennati, 1995a).
Il pezzo presentato è tratto dall’articolo pubblicato sulla rivista “Attualita in Psicologia”, Volume 15, n. 3, Luglio-Settembre 2000: 336-345 denominato: Trauma, psicopatologia e psicoterapia L’efficacia della psicoterapia ipnotica e dell’Eye Movement Desensitization and Reprocessing (EMDR).
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Dr. Michele Giannantonio
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Psicologo – Psicoterapeuta
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