Psicologia e psicopatologia della sessualità
Prof. Giorgio Rifelli
(Dall’omonimo libro, edito da Il Mulino, 2001)
Ridurre le realtà complesse a unità semplici è opera necessaria ai limiti del conoscere o almeno ai limiti di quella modalità del conoscere che ci è propria da quando si è condiviso il progetto di comprendere il mondo attraverso l’analisi delle sue componenti, alla ricerca di singole verità nella prospettiva di poterle poi ricomporre in un unico quadro onnicomprensivo ed esemplificante. Secoli di storia possono essere così facilmente individuati nei loro aspetti dominanti ricorrendo alla semplice distinzione in evo antico, medio e moderno; gli attributi di una popolazione dalla sua appartenenza geografica; le caratteristiche della persona dalla sua collocazione in precise categorie tipologiche di ordine fisico o psicologico.
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In questa maniera è possibile mettere ordine, classificare, etichettare e, pur consapevoli di sacrificare il particolare, confondendo in quell’ordine apparente componenti che male sopportano di essere collocate in ambiti che non corrispondono alle loro peculiarità, la soddisfazione o meglio la tranquillità che deriva da quell’ordine è superiore alla possibilità di rinunciarvi. Ma non si tratta solo di una soluzione di comodo: l’ordine istituisce delle regole, stabilisce una norma ed espelle tutto ciò che non gli si conforma.
La verità che scaturisce non può essere che unica e quanto non le corrisponde viene considerato come singolare anomalia, eccezione che conferma la regola, evento particolare e non significativo, inevitabile e trascurabile conseguenza di quella complessità che si è voluta superare e che si ritiene comunque superata non volendo cogliere il senso delle diversità che continuano ad emergere dall’uniformità dell’ordine e che, se fossero considerate, lo sconvolgerebbero.
La conoscenza del comportamento sessuale, rivolgendosi alla sessualità come ad una dimensione complessa del vivere, non sfugge alla medesima necessità di ordinare ed esemplificare: stabilite le sue componenti (somatiche, psichiche, sociali), le analizza, produce classificazioni, definisce differenze qualitative e quantitative, distingue ciò che è normale da ciò che normale non è, e, in definitiva, pretende di rappresentare il dover essere.
Ma se questa modalità è in sé opinabile poiché oltre a privare della possibilità di una conoscenza esaustiva del fenomeno costruisce su quella conoscenza parziale codici normativi, nel caso della sessualità riconosce un limite ulteriore rappresentato dal fatto che la sessualità non è riconducibile solo ad un evento complesso osservabile da posizioni incontaminate.
La sessualità non può essere osservata senza che l’osservatore non sia da essa stessa caratterizzato e definito; il suo mistero è condiviso da chi osserva e la pretesa di poterlo svelare, di spiegarne i significati, di organizzarne le componenti in classificazioni ordinanti, di individuare significati e verità uniche, di stabilire norme è un ingenuo tentativo di evitare le zone d’ombra, di non abbandonarsi al possibile, di non lasciarsi sedurre da ciò che viene alluso, semicoperto, intravisto, di salvarsi dal coinvolgimento nel mistero e conduce ad una monolitica, sclerotizzata e inumana conoscenza.
Laddove la verità che nasce dalla riflessione scientifica ha un unico significato e di conseguenza la norma, anch’essa scientificamente definita, un’unica possibilità, si ingenerano dinamiche discriminanti, si costruiscono gerarchie, si indica la salvezza e si legittima la condanna.
D’altra parte le preoccupazioni degli autori maggiori che dal 700 in poi hanno affrontato il tema sessuale sono sempre state di ordine morale; in Venette, Tissot, Bienville, Forel, Bloch fino agli stessi Masters e Johnson e Money e Musaph leggiamo prefazioni nelle quali in nome della ragione o della verità o della scienza si cercano consensi quasi che la loro opera potesse sovvertire l’ordine morale.
Ma, considerando poi quanto venivano scrivendo, la preoccupazione etica era solo di facciata; i loro scritti erano comunque costruiti in nome di una verità e di una morale, ma in quella preoccupazione sembrano adombrare la inconfessata consapevolezza di compiere un gesto dissacratorio: ciò che rischiavano di sovvertire era il significato stesso della sessualità.
La sessualità è narrazione, storia, vicenda umana e sociale che non può essere compresa solamente analizzandone le parti senza capire il valore dell’insieme nel quale si palesano i suoi aspetti misterici.
La volontà di ricondurre la sessualità al sapere razionale negando valore alla conoscenza emozionale ha creato l’illusione di poter accedere al mistero, svelandolo. Di fatto ha solo allontanato dal mistero e dal suo fascino, ha sdrammatizzato l’evento, creato un codice linguistico mnemotecnico privo di risonanze simboliche, privilegiato lo studio analitico delle parti, ignorato, perché dato come inesistente, il coinvolgimento dell’osservatore.
L’attentato dunque non era contro la morale, ma contro la sacralità del sesso aggredita da una ragione iconoclasta. Un prete del XVII secolo, Claude Quillet, scrisse un poema didattico in versi latini dedicato all’arte di far figli belli (Callipedia, Parigi 1665) ciò gli procurò i favori del Cardinale Mazzarino che patrocinò la stampa e lo gratificò con una Abbazia.
Lo scritto non mostra censure; le funzioni e le modalità della generazione sono espresse con schiettezza, ma la forma poetica, il ricorso alle metafore e alle favole, l’entusiasmo e la gioia che traspare dai versi, fors’anche di maniera, la cautela delle descrizioni che consentono di sapere senza distruggere, parlano della sessualità nella consapevolezza del mistero.
L’Abate Quillet non manifestò preoccupazioni morali, solo nelle edizioni successive, quando gli studi si fecero scientifici e razionali, appaiono nelle prefazioni dei curatori gli avvertimenti del tipo “i dettagli riguardanti la generazione non sono contrari all’onestà e dannosi per la morale” (edizione di Amsterdam, 1774).
Il trasformarsi della sessualità in discorso, la sua quotidiana presenza non verbale esplicitata con insistenza attraverso il tecnicismo del linguaggio scientifico, ha dato luogo, in particolare negli ultimi anni, ad un prodotto asettico che ha la manegevolezza della plastica e la sua stessa mancanza di calore.
Per parte nostra nell’occuparci dei suoi significati e del suo farsi nell’arco della vita, delle risultanze di laboratorio e delle sofferenze generate dalle compromissioni funzionali, non abbiamo inteso svelare alcun mistero, né indicare verità uniche e tanto meno delle norme, ma, al contrario abbiamo cercato, attraverso una trattazione sia pure contenuta del comportamento sessuale, di fornire non solo quelle che sono le conoscenze fino ad oggi acquisite, ma anche strumenti per recuperare la storicità del sapere, per rivolgersi alla complessità del fenomeno senza rinunciare alle sue particolarità, per coinvolgersi nella sua narrazione e coglierne il suo valore sacrale e misterico; non avendo tuttavia le abilità dell’Abate Quillet non pensiamo di essere stati in grado di fornire di essa il suo fascino.
Dall’introduzione al libro del Prof. Giorgio Rifelli: Psicologia e psicopatologia della sessualità, ed. Il Mulino
Prof. Giorgio Rifelli
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Giorgio Rifelli è medico, specializzato in Dermatologia-Venereologia ed in Psicologia Medica. E’ Responsabile del Servizio di Sessuologia Clinica presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università di Bologna; Segretario Generale del Centro Italiano di Sessuologia, Membro del Comitato Scientifico dell’Associazione Italiana Consulenti Coniugali e Familiari (A.I.C.C. e F.); Direttore della sezione di Bologna della Scuola di Sessuologia per l’Educazione, la Consulenza e la Psicoterapia sessuale del Centro Italiano di Sessuologia; Consigliere nazionale della Federazione Italiana di Sessuologia Scientifica. Dall’Anno Accademico 1996-97 è Docente a contratto di Psicologia e Psicopatologia del Comportamento Sessuale presso la Facoltà di Psicologia, Università di Bologna.
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