Musica al lavoro: ci lasciamo distrarre?
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Molti di noi amano ascoltare la musica mentre lavorano. E’ diventato un rito, come prendere il caffè nella nostra tazza preferita. Le ricerche condotte in passato mostrano che la cosa non poi così male. In alcuni studi di laboratorio, si è osservato che le persone che ascoltano la musica che amano, successivamente hanno migliori prestazioni nei compiti mentali, un effetto che è stato attribuito all’innalzamento del tono dell’umore e ad un maggiore livello di eccitazione.
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Ma che dire dell’effetto della musica di sottofondo, che suona mentre svolgiamo un compito – cosa che può capitarci più spesso nella vita reale? Questo aspetto è stato meno studiato. La letteratura tradizionale sul miglioramento del tono dell’umore dovrebbe far prevedere che sia una cosa utile, soprattutto se il genere musicale suonato è quello più amato da chi ascolta.
Tuttavia, c’è un’altra linea di ricerca, nota come l'”Irrelevant Sound Effect“, che riguarda il modo in cui i rumori di fondo possono interferire con la nostra memoria a breve termine per le liste ordinate, la quale dice che, per molti compiti lavorativi, ascoltare musica non è una buona cosa. Questi studi dimostrano che la distrazione è maggiore quando il suono è più vario acusticamente: proprio come le vostre canzoni pop preferite. Sulla base di questo, Nick Perham e Martinne Sykora hanno fatto una previsione contro-intuitiva: la musica di sottofondo che vi piace sarà più dannosa per la vostra memoria di lavoro rispetto ad una musica che non vi piace, soprattutto se la musica che amate avrà delle variazioni più acustiche rispetto alla musica che non vi piace.
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Venticinque studenti hanno svolto diversi compiti di memoria seriale. I compiti sono stati presentati sotto forma di stringhe di otto consonanti che dovevano essere ripetute a memoria nell’ordine corretto. La performance è stata migliore nella condizione tranquilla, ma la scoperta chiave è stata che le prestazioni dei partecipanti sono peggiorate quando essi hanno completato il compito di memoria mentre ascoltavano nelle cuffie una canzone che amavano (” From Paris to Berlin ” degli Infernal), rispetto ad una canzone che non amavano (come “Acid Bath” della grind core metal band Repulsion). Nel caso ve lo steste chiedendo, i partecipanti che gradivano i Repulsion sono stati esclusi dallo studio.
Il tempo veloce della musica “extreme guitar-based” dei Repulsion, hanno spiegato i ricercatori, è come “una cacofonia di suoni, in cui la segmentazione di ogni singolo suono dal successivo è difficile da identificare”. Questo significa che vi sono meno variazioni acustiche da un passaggio all’altro, il che aiuta a spiegare perché, anche se questa musica non piaceva, ha avuto un effetto meno negativo sul serial recall mnestico della canzone pop degli Infernal.
Perham e Sykora hanno affermato che i loro risultati sono “apparentemente incompatibili con la letteratura sulla eccitazione dell’organismo e sull’innalzamento del tono dell’umore, ma sono coerenti con la spiegazione dei cambiamenti prodotti dall’Irrelevant Sound Effect”.
Un ulteriore dettaglio intrigante dallo studio è la mancanza di comprensione, da parte dei partecipanti, del grado di distrazione associato ad ogni tipo di musica. Alla richiesta di giudicare la loro performance, essi hanno giustamente detto che la loro memoria era più accurata nella condizione tranquilla, ma non si sono resi conto che la loro performance, mentre ascoltavano la musica che amavano, era stata più scadente.
Così, la prossima volta che vi sentite infastiditi dalla brutta musica che sta ascoltando qualcuno, consolatevi, dato che il rumore potrebbe essere meno dannoso per le vostre prestazioni di lavoro rispetto a quello che potrebbero causarvi le vostre scelte personali!
Christian Jarrett
Fonte:
Nick Perham and Martinne Sykora (2012). Disliked Music can be Better for Performance than Liked Music. Applied Cognitive Psychology DOI: 10.1002/acp.2826
Articolo originale in inglese, Music we like can be more distracting than music we don’t, BPS – Riproduzione autorizzata.
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Il Dr. Christian Jarrett è psicologo ed autore di The Rough Guide To Psychology (2011) ed attualmente sta scrivendo Great Myths of the Brain (Wiley-Blackwell), che dovrebbe essere completato nel 2013. Ha scritto per The Times, The Guardian, New Scientist, BBC Focus, Psychologies, Wired UK, Outdoor Fitness, etc. Christian scrive anche per la British Psychological Society nel magazine The Psychologist, e Research Digest blog.
Bravo