Nel 2017 una ragazza di 24 anni, Millie Fontana, cresciuta con madri lesbiche, ha raccontato la sua esperienza in una comunità cristiana, la Australian Christian Lobby. Da questo intervento è stato tratto un video, molto popolare su Internet, anche perché ripreso da vari siti cattolici di tutto il mondo, anche italiani.
Millie Fontana ha detto che nessuno vuole ascoltare la sua testimonianza, perché nessuno vuole “sentire parlare dell’altra parte dell’arcobaleno”.
La Fontana ha affermato che, fin da piccola, sentiva di “volere un padre”, anche se non era in grado neanche di immaginare quello che fosse un padre, perché le veniva detto che, semplicemente, non ne aveva uno. Da bambina amava le sue due madri, ma iniziando ad andare a scuola cominciò a realizzare, attraverso l’osservazione degli altri compagni e dei loro affettuosi legami con i rispettivi padri, che le mancava qualcosa di speciale.
La ragazza sostiene oggi che non avere avuto un padre le ha reso “molto difficile affermare un’identità stabile”. Il padre di Millie non era un donatore anonimo: era un compagno di liceo di una delle sue mamme e con lui sono stati concepiti, in modo naturale, Millie e altri due fratelli. Nonostante questo, Millie ha conosciuto il padre a 11 anni. Questo incontro, racconta la ragazza, le ha dato per la prima volta un senso di “stabilità”. La mancanza di un padre aveva portato Millie ad attaccarsi ai papà delle sue amiche, mentre cercava una figura paterna tutta sua. Da bambina, racconta, “trascorrerevo un periodo di tempo quasi malsano nelle loro case, perché ero affascinata dalla struttura eterosessuale della famiglia”.
Millie non nasconde il suo rancore verso le sue due madri, ma non perché, da lesbiche, hanno voluto un figlio: il suo rancore è dovuto al fatto che le due donne non le hanno detto la verità. Sicuramente in buona fede, per il bene della loro bambina, le due madri hanno raccontato solo alcune parti della loro verità: questo però ha minato nel profondo il senso di fiducia della ragazza nelle due figure genitoriali. Millie oggi ritiene che le unioni omosessuali dovrebbero essere consentite, ma solo se ai bambini viene comunque garantito di poter frequentare entrambi i genitori biologici e sapere sin da subito chi sono, da dove vengono.
Questa è l’esperienza di Millie: basta guardare gli studi sulle famiglie arcobaleno per trovare esperienze del tutto contrarie, di grande felicità, benessere, riconoscenza, da parte di persone nate o cresciute in una famiglia omosessuale. (Probabilmente il maggior impegno necessario per diventare genitori riflette anche un miglior esito della loro genitorialità).
Ho citato tuttavia il caso di Millie per mettere in evidenza quanto, sulla maternità lesbica, vi siano ancora moltissimi pregiudizi, non solo da parte di chi non accetta che due persone dello stesso sesso possano crescere insieme dei figli (e quindi crea stigma sociale nei confronti di queste famiglie, che hanno dei figli da crescere, i quali, come gli altri, dovrebbero essere protetti) ma, a quanto pare, anche da parte di persone che hanno vissuto direttamente questa esperienza.
Leggendo questa testimonianza ho pensato alla famosa frase di Tolstoi, “tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è infelice a suo modo”. A Millie è mancata la figura paterna, o meglio la figura di un buon padre di famiglia, una persona capace di infondere, nella famiglia, quelle qualità “maschili”, che possono mancare in una coppia genitoriale formata da sole donne.
Un buon padre tuttavia, non è tale solo in quanto portatore di caratteristiche somatiche maschili, non è in sé garanzia di stabilità psico-affettiva e di affidabilità genitoriale nei confronti dei figli: quanti padri abbandonano i figli, violentano, maltrattano e perfino uccidono l’altro genitore, o i figli stessi? E questo succede, purtroppo, non solo nelle famiglie più svantaggiate, ma anche in quelle così dette ‘normali’, dove ci sarebbero tutti i presupposti per dare vita ad una famiglia come la pubblicità dei biscotti.
Sul piano psicologico, la preoccupazione principale è che la maternità lesbica possa rappresentare un handicap per i figli maschi, in quanto questi ragazzi verrebbero privati di un modello di identificazione paterna o, più in generale, maschile. Diversi studi e testimonianze dirette tuttavia sembrano dimostrare il contrario: la distanza dai modelli tradizionali di comportamento non sembra necessariamente spingere verso l’omosessualità dei figli, anche perché non bisogna dimenticare che la famiglia allargata dei genitori omosessuali presenta spesso altre figure di riferimento, sia maschili, sia femminili.
E’ probabile che i figli di genitori omosessuali abbiano una minore adesione ai ruoli tradizionali maschili e femminili, ma questo non è detto che sia un male, dal momento che la nostra società tecnologica è sempre più staccata dai tradizionali stereotipi maschile-femminile.
Soprattutto, come del resto avviene per i bambini adottati, o per quelli concepiti con donatore anonimo nelle coppie eterosessuali, va tenuto presente che occorre trovare il modo e il momento giusto per far sapere ai figli come sono stati concepiti, chi è il genitore biologico e quale l’orientamento sessuale dei genitori.
Credo che lo stesso risentimento provato da Millie per le sue due madri sia molto simile a quello di altri figli infelici, anche nati da coppie eterosessuali, per qualsiasi mancanza possano aver avvertito nella loro infanzia, da parte dei genitori (trascuratezze varie, impegni lavorativi, tradimenti e abbandoni, segreti familiari non raccontati, assenza o eccessi di riti religiosi, ecc.).
Crescere dei figli felici non è facile, anche perché spesso non sono i buoni propositi a determinare il successo di una famiglia. Quello che è vero è che i genitori in difficoltà potrebbero (e dovrebbero!) cercare e ricevere aiuto, per evitare che determinate situazioni accadano: il mestiere di genitore non si apprende da nessuno, ma sentirsi genitori perfetti è sempre un errore, qualsiasi sia il tipo di famiglia che si decide di creare.
Dr. Giuliana Proietti
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Dr. Giuliana Proietti
Psicoterapeuta Sessuologa
TERAPIE INDIVIDUALI E DI COPPIA
ONLINE
La Dottoressa Giuliana Proietti, Psicoterapeuta Sessuologa di Ancona, ha una vasta esperienza pluriennale nel trattamento di singoli e coppie. Lavora prevalentemente online.
In presenza riceve a Ancona Fabriano Civitanova Marche e Terni.
- Delegata del Centro Italiano di Sessuologia per la Regione Umbria
- Membro del Comitato Scientifico della Federazione Italiana di Sessuologia.
Oltre al lavoro clinico, ha dedicato la sua carriera professionale alla divulgazione del sapere psicologico e sessuologico nei diversi siti che cura online, nei libri pubblicati, e nelle iniziative pubbliche che organizza e a cui partecipa.
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