Linguaggio e Visione
Al linguaggio viene riconosciuto di essere il mezzo più importante a disposizione della specie umana: sicuramente esso ha una funzione psichica fondamentale, per la comunicazione dell’informazione e la trasmissione della cultura. La visione tuttavia rappresenta il sistema cognitivo da cui deriva l’informazione più originale e creativa, successivamente codificata dal linguaggio.
Il vedere e il visibile
Se avessimo un cervello diverso e più precisamente un sistema visivo diverso, vedremmo il mondo in modo diverso. Tra il vedere e il visibile, cioè tra la visione e la luce, non vi è identità.
La sensazione luminosa
La sensazione luminosa è innescata dai fotoni che cadono sulla retina. Tuttavia ciò che vediamo non sono le distribuzioni dei fotoni nelle immagini sulla retina, ma ciò che risulta dall’elaborazione di queste immagini a livello del sistema nervoso centrale. Dunque, noi non vediamo la materia come potrebbe essere descritta da un fisico, ma l’interpretazione che di essa danno i nostri neuroni. Vi sono neuroni specializzati per distinguere l’orientamento degli stimoli, altri neuroni per il colore, altri per gli indizi della profondità, altri per il movimento e così via per le varie caratteristiche dello stimolo visivo. Se una certa classe di neuroni venisse ipoteticamente distrutta in un individuo, ad esempio per cause patologiche, quella data caratteristica non potrebbe essere più percepita, anche se presente all’osservazione di un’altra persona che non avesse la stessa deficienza neurologica.
Il colore e la luminosità
La luce non è colorata: dà origine a sensazioni di luminosità e colore, ma solo in combinazione con un occhio e un sistema nervoso adeguati.
La visione del colore è la capacità di un organismo o di una macchina di distinguere gli oggetti sulla base della lunghezza d’onda (o frequenza) della luce che questi riflettono, emettono, o trasmettono.
I colori possono essere misurati e quantificati in vari modi; la percezione dei colori di una persona è un processo soggettivo nel quale il cervello risponde alle stimolazioni prodotte quando la luce incidente reagisce con i diversi tipi di cellule coni presenti nell’occhio. Persone diverse possono vedere lo stesso oggetto illuminato o la stessa sorgente di luce in modi diversi.
La luminosità è una funzione non solo dell’intensità della luce che cade su una data regione della retina in un determinato momento, ma anche dell’intensità della luce a cui la retina è stata soggetta nel recente passato e delle intensità della luce che cadono su altre regioni della retina. Si tratta dunque di una sensazione soggettiva.
La sensibilità dell’occhio umano varia a seconda della lunghezze d’onda della luce emessa. Il flusso luminoso differisce dal flusso radiante, il quale è invece la misura della potenza totale di radiazione elettromagnetica emessa.
Il flusso luminoso viene spesso usato come una misura oggettiva della potenza utile emessa da una sorgente luminosa, (ad esempio questo valore è di solito riportato sulla confezione delle lampadine).
Primi studi sulla visione: Euclide
La descrizione data da Euclide della visione è concettualmente ancora valida, anche se imprecisa: Euclide riteneva infatti che dall’occhio uscissero dei raggi che andavano a illuminare e descrivere gli oggetti della realtà del mondo esterno. Oggi sappiamo che il flusso dell’informazione avviene in direzione opposta a quella prospettata da Euclide, ma più o meno con le modalità da lui indicate.
Lo studio moderno della visione
Oggi la visione viene studiata come una funzione complessa del comportamento, basata su strutture nervose specifiche delle specie animali, e non si confonde con lo studio delle proprietà delle radiazioni e della materia.
La natura della luce
Negli ultimi 300 anni ci sono state due teorie rivali sulla natura della luce. Isaac Newton (1642-1727) sosteneva che la luce fosse una sequenza di particelle (corpuscoli) emesse in tutte le direzioni, mentre Christiaan Huygens (1629-93) sosteneva che la luce fosse come un’onda che si propaga (in maniera del tutto simile alle onde del mare o a quelle acustiche) in un mezzo, chiamato etere, che si supponeva pervadere tutto l’universo ed essere formato da microscopiche particelle elastiche.
Oggi per luce intendiamo la porzione dello spettro elettromagnetico visibile dall’occhio umano, approssimativamente compresa tra 400 e 700 nanometri di lunghezza d’onda, ossia tra 790 e 435 THz di frequenza. Questo intervallo coincide con il centro della regione spettrale della luce emessa dal Sole che riesce ad arrivare al suolo attraverso l’atmosfera. I limiti dello spettro visibile all’occhio umano non sono uguali per tutte le persone, ma variano soggettivamente e possono raggiungere i 720 nanometri, avvicinandosi agli infrarossi, e i 380 nanometri avvicinandosi agli ultravioletti. La presenza contemporanea di tutte le lunghezze d’onda visibili, in quantità proporzionali a quelle della luce solare, forma la luce bianca.
A causa della velocità finita della luce e del ritardo nei messaggi nervosi che raggiungono il cervello, percepiamo sempre il passato. La nostra percezione del sole, ad esempio, è in ritardo di oltre 8 minuti: tutto ciò che sappiamo del più lontano oggetto visibile a occhio nudo (la nebulosa di Andromeda) è così obsoleto che lo vediamo come era un milione di anni prima che gli uomini apparissero sulla Terra.
La luce e gli esseri viventi
Quasi ogni essere vivente è sensibile alla luce. Le piante hanno bisogno dell’energia della luce, alcune si muovono per seguire il sole.
La visione negli animali
Non si deve credere che le funzioni visive migliorino lungo la scala filogenetica con un massimo di perfezione ed efficienza nella specie umana: negli animali spesso le cose vanno molto meglio. Vi sono animali che hanno la stessa capacità dell’uomo di percepire ad esempio i colori e vi sono animali superiori all’uomo per altre proprietà come l’acuità visiva.
Dalle ricerche sui primati è stata avanzata l’ipotesi che la visione abbia avuto una funzione fondamentale nella loro evoluzione e nel loro adattamento all’ambiente. I primati predatori, dotati di occhi orientati frontalmente e capaci di convergere su uno stimolo, potevano facilmente individuare una preda, valutarne la distanza con il meccanismo della visione binoculare della distanza e prepararsi con successo all’attacco.
I primati erbivori, che si cibavano di frutta, traevano un grande vantaggio dalla capacità di riconoscere i colori o di ricordare il luogo dove raccoglierli. Anche la comunicazione sociale viene facilitata nei primati dalla segnalazione visiva delle espressioni della faccia.
La visione nel bambino
Nelle prime settimane di vita il bambino mostra un intenso interesse per gli stimoli visivi. E’ fuori di dubbio che l’esperienza visiva del mondo esterno è un fattore necessario per un normale sviluppo e affinamento delle proprietà innate, che riguardano la distinzione della luce dal buio, la percezione del movimento e dei colori.
Il bambino non è capace di percepire le forme, ma può discriminare fra uno stimolo omogeneo e uno non omogeneo, un disegno o una figura. Per studiare la percezione delle forme nei neonati si mostrano al bambino due stimoli diversi e si registra la frequenza e la durata di fissazione degli occhi su ciascuno dei due.
È stato dimostrato che i neonati riescono a coordinare i movimenti oculari entro poche settimane dalla nascita. Essi preferiscono anche oggetti solidi (tridimensionali) a rappresentazioni piatte degli stessi oggetti; di conseguenza, si presume che la sensazione della profondità sia innata.
Nelle prime settimane di vita il bambino sa già localizzare gli oggetti visivamente, sa seguire la traiettoria di un oggetto che si muove, sa distinguere una figura omogenea da un disegno, si difende con le mani se gli si proietta davanti un’ombra che si allarga progressivamente e distingue l’orientamento degli oggetti.
Plasticità del sistema visivo nell’adulto
In un esperimento, una ragazza si è sottoposta per due settimane alla faticosa esperienza di portare dei prismi per l’inversione delle immagini. Dopo una settimana poteva già orientarsi nel traffico delle strade, dopo dieci giorni poteva scrivere agevolmente ed andare in bicicletta. La ragazza sosteneva che il mondo appariva ancora rovesciato, ma che questo fatto era ormai normale per lei.
Questo genere di esperimenti dimostra che, in opportune circostanze, alcune proprietà del sistema visivo dell’essere umano adulto possono essere modificate e che queste modificazioni sono osservabili a livello dell’attività elettrica dei neuroni della corteccia striata.
L’attenzione visiva
L’elaborazione dell’informazione visiva è un insieme complesso di stadi e processi che si collocano in una dimensione temporale. L’attenzione si può definire come una scelta attiva degli stimoli dell’ambiente ai quali rispondiamo. Il caso più notevole dell’attenzione visiva è l’attenzione foveale rispetto a quella periferica. Ogni volta che vogliamo percepire con precisione uno stimolo spostiamo la fovea della retina, dove c’è il massimo di acuità visiva, verso lo stimolo. In periferia non manca l’attenzione, ma è diversa da quella foveale.
Esempio: stiamo guardando la televisione, ma qualche cosa di nuovo è accaduto di fianco, qualcuno ci sta porgendo qualche cosa. Qui ha operato l’attenzione periferica che ci ha permesso di rilevare da uno sfondo relativamente omogeneo la comparsa di uno stimolo nuovo. Ci voltiamo e vediamo con precisione che ci stanno offrendo una sigaretta. Il riconoscimento dello stimolo è dovuto alla focalizzazione della fovea su di esso e quindi allo spostamento dell’attenzione da periferica a foveale, mediante un movimento degli occhi e/o della testa.
La distinzione tra attenzione foveale e periferica è per così dire spaziale. Vi sarebbero altre due forme di attenzione di carattere più propriamente temporale. A un processo ‘preattentivo’, come è stato chiamato, seguirebbe un’attenzione focale. La preattenzione ha il ruolo di estrarre, segmentare lo stimolo rispetto agli altri stimoli, di estrarre la figura dallo sfondo (Gestalt). Generalmente sono state studiate le situazioni di ‘ricerca visiva’ in cui l’osservatore ha il compito di ricercare in un vasto gruppo di stimoli lo stimolo-obiettivo. E’ un po’ la situazione in cui ci troviamo quando aspettiamo un amico alla stazione all’inizio del binario.
Tante persone ci passano davanti, ma non stiamo a guardarle una per una con precisione; è come se dessimo ‘occhiate veloci’ passando da una all’altra fino a quando non riconosciamo la faccia amica. Se alla stazione di Shangai aspettiamo un amico italiano, il compito di riconoscerlo è più facile che non alla stazione Termini di Roma, fra tanti italiani.
Il pensiero visivo
E’ nota l’affermazione di A. Einstein di aver utilizzato scarsamente il pensiero verbale nelle sue rivoluzionarie scoperte nel campo della fisica. Molti scienziati famosi hanno riferito che spesso hanno avuto delle ‘intuizioni’ immediate relative alla risoluzione di un problema e poi di averle trascritte, comunicate mediante il codice verbale. Queste intuizioni sarebbero delle ‘visioni‘ esplosive, globali, sintetiche che poi lo scienziato spezzetta, traduce in parole e numeri.
Il grande studioso della visione, il fisico e fisiologo H. von Helmholtz, scrisse che le immagini delle impressioni puramente sensoriali possono essere usate come elementi delle combinazioni di pensiero senza che sia necessario oppure anche possibile descriverle a parole. Tra gli psicologi che negli anni Settanta hanno richiamato l’interesse sui processi non verbali, visivi, immaginativi, intuitivi, R. N. Shepard ha compiuto una disamina particolareggiata della funzione di tali processi nelle opere creative di scienziati, artisti, musicisti. Egli ha indicato alcune costanti del ‘pensiero produttivo’ o della ‘Immaginativa mentale’.
Molto suggestiva è l’osservazione che nella loro ‘produzione’ gli scienziati tendono a una descrizione dei fenomeni dell’universo e delle leggi che li governano che sia semplice, geometrica, simmetrica, rappresentabile visivamente in modo immediato ed elegante formalmente. Molte formule della fisica moderna hanno questa semplicità e pregnanza visiva, ma più esemplificative sono le soluzioni visive comparvero a scienziati come il chimico F.A. Kekulé sulla struttura dei composti organici o a J.D. Watson e F. Crick sulla struttura del DNA.
I disturbi della vista
I disturbi della vista sono un grave problema di salute pubblica, perché causano disabilità, sofferenza e perdita di produttività. È stato ormai riconosciuto con chiarezza che la perdita della vista può generare vari gradi di sofferenza psichica, indubbiamente maggiori del disagio derivante da altre forme di disabilità sensoriale.
I disturbi della vista derivano da problemi dello sviluppo, crescita non coordinata degli elementi dell’occhio, processi patologici come infiammazione e degenerazione,
e altri cambiamenti nell’anatomia e nella fisiologia dell’occhio. Questi disturbi colpiscono le persone riducendo l’acuità visiva, i campi visivi, la visione dei colori o la stereopsi.
Fortunatamente, la maggior parte dei disturbi della vista può essere curata, anche se non guarita. Almeno il 90% di tutti i problemi che le persone hanno con gli occhi derivano da errori di rifrazione, strabismo e ambliopia. Meno del 10% dei problemi alla vista derivano da malattie come la cataratta senile, la degenerazione maculare senile, la retinopatia diabetica o il glaucoma. Nella popolazione di oltre 45 anni, praticamente tutti hanno problemi di vista.
La cecità è definita come acuità visiva (AV) inferiore a 20/200 o meno nell’occhio migliore con la migliore correzione oftalmica o campi visivi inferiori a 20 gradi di diametro. La cecità può essere assoluta, senza percezione della luce.
Dati globali sulla cecità suggeriscono che la cataratta, l’errore di rifrazione e il tracoma sono le cause più importanti di cecità nei paesi in via di sviluppo, mentre la degenerazione maculare senile è la causa principale negli Stati Uniti e nelle economie di mercato consolidate. La relazione tra stato socioeconomico inferiore e maggiore tasso di cecità non è ambigua: questo dato è chiaramente indicato dalla maggiore prevalenza di cecità nei paesi più poveri del mondo rispetto a quelli sviluppati.
Perdita della vista: l’impatto emotivo
Numerosi studi hanno esaminato l’impatto emotivo esercitato dalla perdita della vista.
Una tipica reazione del paziente alla perdita della vista è la depressione di varia durata e gravità, in base alle caratteristiche personali sottostanti del paziente e allo stato socioeconomico.
Nel 90% dei casi questi pazienti manifestano segni di depressione, con insonnia, perdita di appetito, ritiro sociale, perdita di autostima, pianto e ideazione suicidaria. La situazione peggiora se i sintomi psicopatologici diventano cronici.
Le allucinazioni
La percezione può essere distorta. La situazione più drammatica la si ha quando con la fantasia viene creato un intero mondo, che poi viene scambiato per realtà. Questo può accadere come effetto collaterale indotto da farmaci, o nelle malattie mentali.
Le allucinazioni sono simili ai sogni. Possono essere visive o coinvolgere qualsiasi altro senso. Possono persino combinare diversi sensi, quando l’impressione della realtà è travolgente. Sogni e allucinazioni hanno sempre suscitato meraviglia e qualche volta hanno perfino influenzato le decisioni, sia a livello personali che politico.
Per i fisiologi, i sogni e le allucinazioni sono dovuti all’attività spontanea del cervello, non provocata dagli stimoli sensoriali. I tumori cerebrali e l’aura che precede le crisi epilettiche possono dare esperienze visive. In questi casi, il sistema percettivo è attivato non dai normali segnali dai fotorecettori, ma dalla stimolazione che è più centrale.
Le allucinazioni si verificano spesso nelle persone che vivono isolate, quando la stimolazione sensoriale non è esistente, e il cervello produce molte fantasie. È possibile che questo sia ciò che accade nella schizofrenia, quando il mondo esterno e l’individuo sono poco in contatto.
Testo consultato:
NCBI
Dr. Walter La Gatta
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Dr. Walter La Gatta
Psicologo Psicoterapeuta Sessuologo
Delegato Regionale del Centro Italiano di Sessuologia per le Regioni Marche Abruzzo e Molise.
Libero professionista, svolge terapie individuali e di coppia
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