Studi sullo stupro
Quando Richard von Krafft-Ebing scrisse Psychopathia Sexualis (1886), l’autore riteneva che gli stupratori soffrissero di “priapismo e condizioni simili alla satiria” o di una “debolezza mentale” che permetteva agli impulsi “lussuriosi” di sfuggire al controllo. Si trattava insomma di una semplice questione di idraulica: se la pressione era troppo grande e il vaso troppo debole, accadeva l’inevitabile.
Nei primi decenni del XX secolo, sebbene la sessualità umana fosse al centro di un intenso interesse scientifico, nessuno sentì il bisogno di contrastare questo ingenuo concetto sulla causa della violenza sessuale. Havelock Ellis, ad esempio, credeva che tutta la sessualità maschile fosse violenta e predatoria, e quindi non dubitava sul fatto che lo stupro fosse una manifestazione assolutamente normale del desiderio maschile. Alfred Kinsey invece preferì ignorare del tutto la questione, liquidando la maggior parte delle denunce di violenze come false accuse. In ogni caso Kinsey era del parere che lo stupro non nuoce alla vittima.
Molti psicologi, in particolare freudiani, ipotizzarono che tutte le donne desiderassero segretamente di essere stuprate. La sessualità femminile era ritenuta intrinsecamente masochista, poiché, come sosteneva la psicoanalista Karen Horney nel suo “Il problema del masochismo femminile” (1935): “il contenuto dei primi desideri e fantasie sessuali riguardanti il padre è il desiderio di essere mutilate, cioè castrate da lui”. Secondo questo punto di vista, le vittime non solo inconsciamente desiderano, ma addirittura provocano l’uomo, affinché compia lo stupro.
Lo psichiatra forense David Abrahamsen sostenne invece in The Psychology of Crime (1960) che lo stupratore fosse il risultato di una madre “seducente ma rifiutante”, che lo costringeva a riversare questo desiderio represso, da lei ingiustamente provocato, su altre donne.
Queste concezioni sullo stupro persistettero fino alla seconda metà del XX secolo, quando fu improvvisamente infranto da una combinazione mortale di teoria femminista e ricerca empirica.
La teoria femminista: il movente non è il sesso, ma il potere
Questa era la situazione quando l’attivista femminista Susan Brownmiller scrisse il suo fondamentale libro Contro la nostra volontà (1975), in cui sosteneva che lo stupro era un consapevole atto di intimidazione attraverso il quale tutti gli uomini mantenevano le donne in uno stato di intimidazione. La Brownmiller respingeva decisamente l’idea che lo stupro fosse il risultato del desiderio sessuale provocato dalla vittima; lo vedeva piuttosto come un crimine politico contro persone più deboli, allo stesso modo in cui i bianchi facevano violenza ai neri. Lo stupro dunque non era un crimine dovuto alla passione e all’impulso, ma era freddamente premeditato, spesso pianificato nei dettagli.
Studi sugli stupratori
Il primo e forse il più influente studioso dell’argomento fu lo psicologo clinico Nicholas Groth, che studiò diverse centinaia di stupratori nelle carceri e nei reparti di sicurezza mentale in tutto il sistema penale del Massachusetts, pubblicando le sue conclusioni in Men Who Rape (1979).
Per Groth, tutti i violentatori lo facevano per uno di questi tre possibili motivi: sadismo, rabbia o desiderio di potere. Per questo autore lo stupro non era mai l’atto di una persona mentalmente sana, ma ‘sempre un sintomo di qualche disfunzione psicologica, temporanea o cronica’. Nella sua opinione lo stupro era “un atto pseudosessuale“, che usava la sessualità per esprimere “questioni di potere e rabbia“, e che era “un comportamento sessuale al servizio primario di bisogni non sessuali”.
Purtroppo, Groth non ha spiegato come ha condotto la sua ricerca, né ha dato alcun indizio su quali domande abbia posto ai suoi intervistati. Non dice infatti come sia arrivato alle sue categorie motivazionali, o come sia arrivato a credere che tutti gli stupratori fossero malati di mente. La sua opera merita dunque di essere menzionata, ma solo perché è un autore ancora comunemente citato in tutte le ricerche e gli studi sullo stupro.
Tipologia di Nicholas Groth
Groth ha descritto tre tipi di stupri, basati sull’obiettivo dello stupratore.
- Rabbia violenta. Lo scopo di questo stupratore è umiliare, svilire e ferire la vittima; esprime il suo disprezzo per la vittima attraverso la violenza fisica e il linguaggio volgare. Il sesso è un’arma per contaminare e degradare la vittima, lo stupro costituisce la massima espressione della sua rabbia. Questo stupro è caratterizzato dalla brutalità fisica: durante l’atto violento viene utilizzata molta più forza fisica di quanto sarebbe necessario se l’intento fosse semplicemente quello di sopraffare la vittima e ottenere la penetrazione. Questo tipo di stupratore attacca la vittima afferrandola, colpendola e sbattendola terra, picchiandola, strappandole i vestiti, ecc.
- Potere. In questo caso lo stupro diventa un modo per compensare i sentimenti di inadeguatezza dello stupratore e riguarda i suoi problemi con la padronanza di sé, le sue capacità di autocontrollo, di forza, di autorità e capacità. Lo stupratore desidera affermare la sua competenza, attraverso minacce verbali, intimidazioni con un’arma, atti violenti per sottomettere la vittima. Questo stupratore ha fantasie sulla possibile conquista sessuale. Potrebbe credere infatti che, anche se inizialmente la vittima gli resiste, alla fine godrà dello stupro. Questo stupratore crede che la vittima apprezzi ciò che le viene fatto e potrebbe perfino chiederle di rivedersi. Se questo non accade lo stupratore cerca altre vittime e quindi i suoi reati possono diventare ripetitivi e compulsivi. Questo è il classico stupratore seriale.
- Sadismo. Per questo stupratore l’eccitazione sessuale è causata dalla sofferenza della sua vittima. L’autore del reato trova intensamente gratificante il maltrattamento intenzionale della sua vittima e si compiace del tormento della vittima, della sua angoscia, impotenza e sofferenza. Lo stupro sadico di solito comporta estese e prolungate torture. A volte, può assumere qualità ritualistiche o bizzarre. Lo stupratore può usare qualche tipo di strumento o oggetto per penetrare la vittima. Le aree sessuali del corpo della vittima diventano un obiettivo specifico di lesioni o abusi. Gli assalti dello stupratore sadico sono calcolati e colpiscono soprattutto prostitute o persone percepite come “promiscue”. La morte della vittima potrebbe essere in questo caso il massimo della gratificazione per questo tipo di stupratore.
Aspetti Biologici e Apprendimento Sociale
Secondo alcuni ricercatori (es. Shpancer) gli atti di violenza e sesso hanno in comune l’ormone del testosterone: ci sarebbe dunque un collegamento biologico fra le due cose. In una spiegazione di tipo evolutivo, si è detto che gli uomini primitivi venivano “ricompensati” dalle loro fatiche attraverso l’aggressione alle donne, che poi proteggeva dagli altri maschi. Ciò potrebbe aver causato la trasmissione di impulsi sessuali aggressivi negli uomini attraverso le generazioni (questo comunque non giustifica l’aggressione sessuale, dal momento che gli uomini hanno anche ereditato, sempre a livello genetico, gli strumenti per il controllo di questi impulsi).
La teoria ‘evoluzionista’ (sostenuta da Symons, 1979, Schields e Schields, 1983, Thornill e Thornill 1983-87, Marshall 1984, Thiessen, 1986, Ellis, 1989), riteneva la violenza sessuale un fattore quasi genetico, un impulso maschile a fecondare quante più donne possibili, soprattutto nella condizione di carenza in cui non poteva soddisfare i criteri di selezione della femmina.
La teoria dell’ ’apprendimento sociale’, sostenuta principalmente da Malamuth 1981-84, Check e Malamuth, 1985, Zillman, 1984, Linz 1985) vedeva nello stupro una tradizione repressiva nei confronti della donna, non come reazione ad un impellente desiderio erotico, ma come un’imitazione di un modello presente nell’ambiente, da cui il soggetto aveva ‘appreso’ il comportamento, divenendo progressivamente desensibilizzato alle relative conseguenze dannose per la donna.
Vari studi tuttavia hanno rilevato che i livelli di testosterone non sono più elevati negli stupratori. Né vi è inoltre correlazione fra deprivazione sessuale e stupro: le indagini condotte hanno rilevato che, se mai, gli stupratori hanno più partner sessuali consensuali di altri uomini. E, come hanno dimostrato Paul Gebhard e colleghi (Kinsey Institute) in Sex Offenders: An Analysis of Types (1965), gli stupratori sposati avevano la stessa probabilità di avere una vita sessuale attiva con le loro mogli.
Questi risultati furono così convincenti, indipendentemente dall’orientamento politico dei ricercatori, che la teoria dello stupro quale risultato del priapismo o della frustrazione venne abbandonata.
Il partner stupratore
Gli psicologi hanno inizialmente studiato gli stupratori incarcerati, perché erano più disponibili. In realtà solo una piccola parte dei molestatori sessuali vengono incarcerati. I condannati per reati sessuali hanno molte più probabilità di aver aggredito estranei, usato un’arma, dispiegato violenza non necessaria, o avere precedenti penali. Questi uomini non sono quasi mai persone istruite o membri stimati nelle loro comunità, caratteristiche che, ora sappiamo, non escludono gli uomini dallo stupro.
Quindi, a metà degli anni ’80, una nuova ondata di studi si concentrò su questi stupratori “non identificati”, cioè uomini che non erano mai stati arrestati, o addirittura denunciati per i loro crimini. Questi uomini avevano meno probabilità di usare violenza o persino la forza fisica. Invece, la maggioranza di loro aveva aggredito donne che erano state rese incapaci dall’alcol. Quando usavano la forza, era quasi sempre dopo che un tentativo di sesso consensuale era fallito, il cosiddetto “stupro da appuntamento“.
Studi sugli studenti universitari
Il fatto più sorprendente nelle ricerche sullo stupro è stato quello di trovare una popolazione non carcerata che ammetteva candidamente di aver commesso degli stupri. La maggior parte di questi soggetti erano studenti universitari: ai ricercatori sembrava incredibile che questo gruppo di persone potesse confessare questi reati sessuali con tanta leggerezza a degli sconosciuti. Tuttavia, i ricercatori si accorsero che questo accadeva fino a che la parola “stupro” non compariva nel questionario. In questo caso il tono delle risposte cambiava.
In assenza dei termini “violenza” e “stupro”, gli uomini si sentivano a proprio agio nel rispondere “sì” a domande del tipo: “Hai mai avuto rapporti sessuali con un adulto quando lui/lei non voleva e per questo hai usato o minacciato di usare la forza fisica?” Nelle interviste condotte dagli psicologi David Lisak e Susan Roth della Duke University in North Carolina, e in seguito da Lisak e Paul Miller della Brown University di Rhode Island, si è scoperto che gli intervistati non si rendevano neanche conto che le domande descrivevano una situazione di stupro. Essi non sentivano di avere un problema, e tanto meno di essere il problema.
In 10 diversi studi condotti tra il 1985 e il 1998, tra il 6 e il 14,9% degli studenti universitari maschi (che costituivano la maggioranza degli intervistati) ha ammesso di aver stuprato o tentato lo stupro, e circa la metà di loro ha affermato di averlo fatto ripetutamente. Questi studi si basavano su un questionario standard, dove la frase “senza il loro consenso” (o il suo equivalente) appariva in ogni domanda usata. Tutte queste domande si riferivano al sesso vaginale, anale o orale. Inoltre, nelle interviste personali, gli uomini che avevano ammesso il sesso non consensuale nel questionario non hanno fatto alcun tentativo di affermare che c’era stato un malinteso: sapevano che le loro vittime non volevano, ma non si consideravano degli stupratori.
Incolpare la vittima
Lo studio Understanding Sexual Violence (1990) condotto da Diana Scully per l’Istituto Nazionale di Salute Mentale degli Stati Uniti riguardava un’intervista di 89 pagine per misurare sugli uomini tratti come l’ostilità verso le donne, la violenza interpersonale e la “mascolinità compulsiva”. Su tutte queste misure, stupratori e persone che avevano commesso altri reati erano indistinguibili. Non c’era inoltre alcuna differenza nella loro vita sessuale prima del carcere, il loro atteggiamento nei confronti delle donne o la loro storia di abuso sessuale infantile.
Ciò che colpì Scully però fu che tutti parlavano delle carenze morali delle loro vittime. Essi mentivano sui dettagli dei loro reati per sembrare meno violenti e cercavano di “normalizzare” l’atto dello stupro. Tutti sostenevano che le donne negano il rapporto per farsi desiderare di più e che fosse accettabile stuprare una donna se di lei si sapeva che aveva avuto altri uomini, se aveva bevuto o avesse fatto l’autostop (“se l’è cercata”).
Stupro: atto gratificante a basso rischio
Per commettere un atto di violenza sessuale occorre avere una personalità antisociale, per non essere troppo costretto dall’empatia verso le sue vittime. Queste sembrano le precondizioni per qualsiasi reato che coinvolga una vittima: in effetti, i tratti caratteriali misurati sui violentatori condannati sono identici a quelli dei rapinatori e dei ladri. Nel caso dello stupro tuttavia è importante anche l’essere appoggiati dai pari, e avere la certezza che la pena potrà essere elusa.
Ad esempio, la maggior parte degli stupratori, in età universitaria, studiati non solo non temeva le punizioni, ma si mostrava beatamente inconsapevole di aver commesso un reato. Guardando questo quadro generale, Scully concluse che la maggior parte degli stupri sono il risultato di una “cultura dello stupro”.
La cultura dello stupro
Per capire la cultura dello stupro, basta osservare le grandi variazioni nei tassi di violenza sessuale da un paese all’altro, a seconda del grado in cui il reato è condonato o punito. Negli USA dal 6 al 14,9% degli studenti universitari maschi ha confessato di aver stuprato; secondo uno studio pubblicato su The Lancet, la percentuale di uomini che si identificano come stupratori in Cina è appena inferiore al 23%, e, in Papua Nuova Guinea, è un brutale 60,7%.
Ambienti militari e teatri di guerra
Anche le aggressioni sessuali dei soldati in tempo di guerra variano notevolmente da esercito a esercito, spesso a seconda delle direttive che vengono dall’alto.
Ad un estremo, abbiamo lo stupro di Nanchino in vista della Seconda Guerra Mondiale, dove i comandanti giapponesi hanno incitato attivamente i soldati ad assaltare i civili, e 20.000 donne sono state stuprate entro il primo mese di occupazione. Al contrario, gli episodi di violenza sessuale sono stati storicamente bassi tra i gruppi di guerriglieri di sinistra; ad esempio, dopo il dodicesimo anno di guerra civile in El Salvador, un rapporto del 1981 per le nazioni unite non ha riscontrato alcun caso di stupro riportato dagli insorti, sebbene la violenza sessuale da parte delle forze governative fosse comune nei primi anni di guerra. Ciò è probabilmente dovuto sia alla libertà di tali gruppi di poter utilizzare pene extra-legali, sia al bisogno di conquistare i cuori e le menti della popolazione.
Il tasso notoriamente elevato di violenza sessuale da parte dell’Armata Rossa alla fine della Seconda Guerra Mondiale diminuì drasticamente quando la leadership sovietica decise che si trattava di un problema politico e istituì delle regole per scoraggiarlo. Nella guerra civile salvadoregna, gli stupri da parte dei soldati governativi diminuirono drasticamente quando gli Stati Uniti minacciarono di ritirare gli aiuti militari qualora lo standard dei diritti umani del governo non fosse migliorato. Apparentemente dunque, anche nel mezzo della violenza della guerra, gli uomini sono in grado di astenersi dall’assalto sessuale se sanno che ci saranno conseguenze.
La conclusione è che lo stupro, come altri reati, può essere efficacemente prevenuto attraverso la deterrenza. Sembra dunque incomprensibile il fatto che tanta energia sia stata spesa per evitare la prevenzione.
Le cause dello stupro
Gli uomini che violentano hanno tendenze antisociali (Z. Peterson). Coloro che hanno queste tendenze antisociali si preoccupano scarsamente delle regole e dei giudizi della società, e pertanto potrebbero non interessarsi alla eventuale punizione o allo stigma sociale, come conseguenze per il reato commesso.
Nelle ricerche peraltro si è visto che gli amici dello stupratore in genere approvano il comportamento del loro amico e questo è possibile, visto che gli uomini sessualmente aggressivi cercano altri uomini sessualmente aggressivi per costituire un gruppo di pari.
La pena
Anche quando viene data una pena per un reato di stupro, essa viene solitamente inquadrata come mezzo per ottenere giustizia per le singole vittime, piuttosto che come mezzo per prevenire crimini futuri. Tutte le ricerche fatte fino ad oggi mostrano che questo è l’errore. Lo stupro non deve essere considerato un danno alla persona, ma un comportamento illegale, che viene severamente punito.
Differenze di genere
Secondo una ricerca per il Ministero dell’Interno britannico, in media si stima che ogni anno nel Regno Unito vengano commessi 69.000 stupri (inclusi i tentativi), di questi solo 16.000 sono denunciati, e solo circa 1.000 rei (maschi e femmine) sono consegnati alla giustizia.
Vale la pena notare che queste statistiche includono reati commessi da uomini e donne,contro vittime maschili e femminili, tuttavia la stragrande maggioranza degli stupri sono commessi da uomini, la stragrande maggioranza delle vittime sono donne e il 99% delle persone condannate per stupro nel Regno Unito sono uomini. Negli Stati Uniti, solo una stima del 2,2 per cento degli stupri denunciati si traduce in una condanna.
La cosa importante è rendere facile alle vittime l’approccio alla polizia; di tutti i crimini violenti lo stupro è infatti il reato che ha meno probabilità di essere denunciato.
Prevenzione e Cura
La punizione per lo stupro commesso non è solo una questione di coscienza privata, ma un problema di sicurezza pubblica. Occorrerebbe dunque anzitutto investire di più sulla prevenzione, per sradicare la cultura dello stupro.
La somministrazione di antiandrogeni, detta anche ‘castrazione chimica’ a uomini adusi allo stupro sembra efficace nel ridurre l’interesse, in questi soggetti, per l’attività sessuale in genere e pertanto qualcuno la consiglia come mezzo per reprimere gli impulsi degli stupratori recidivi.
Qualche successo sembra lo si sia ottenuto attraverso l’utilizzo di farmaci simili a quelli utilizzati in psichiatria per i soggetti che presentano disturbi ossessivo-compulsivi.
Secondo Marshall (1993) i trattamenti psicoterapeutici da adottare con gli stupratori devono essere orientati non tanto al riordinamento della sessualità deviata, quanto all’addestramento all’empatia, alla ristrutturazione delle distorsioni cognitive, all’acquisizione della capacità di agire in intima sintonia con gli altri.
Dr. Giuliana Proietti
Rif. Bibl.Lipford, La componente aggressiva insita nella sessualità ed i fattori inducenti la condotta aggressiva che caratterizza lo stupro, in Rivista di sessuologia, Cic, n. 28
Wikipedia
Why Men Rape, Aeon
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Dr. Giuliana Proietti
Psicoterapeuta Sessuologa
TERAPIE INDIVIDUALI E DI COPPIA
ONLINE
La Dottoressa Giuliana Proietti, Psicoterapeuta Sessuologa di Ancona, ha una vasta esperienza pluriennale nel trattamento di singoli e coppie. Lavora prevalentemente online.
In presenza riceve a Ancona Fabriano Civitanova Marche e Terni.
- Delegata del Centro Italiano di Sessuologia per la Regione Umbria
- Membro del Comitato Scientifico della Federazione Italiana di Sessuologia.
Oltre al lavoro clinico, ha dedicato la sua carriera professionale alla divulgazione del sapere psicologico e sessuologico nei diversi siti che cura online, nei libri pubblicati, e nelle iniziative pubbliche che organizza e a cui partecipa.
Per appuntamenti:
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ignoranza abissale. davvero si parla di differenze percentuali nel Regno Unito, paese permeato di cultura stigmatizzante nei confronti della figura maschile vittima di reati di violenza, e soprattutto sessuali come in questo caso, prendendo in mano LE CONDANNE o le DENUNCE? ma è ovvio che la stragrande maggioranza, se non la quasi totalità degli uomini nel mondo che subiscono abusi sessuali, compreso lo stupro, NON NE PARLINO MINIMAMENTE CON NESSUNO E NON DENUNCINO per evitare lo stigma sociale tremendo riservato loro nel caso lo facessero. ricerche come quella dell’FBI che dichiarano che circa “400.000 ragazzi e uomini dai 14 ai 29 anni dichiarano di esser stati obbligati a penetrare una donna”, o come quella di Università di Siena che parla addirittura di “3.8 milioni di italiani circa che affermano di aver subito abusi sessuali da parte di donne”, SONO TOTALMENTE INDICATIVI del fatto che lo STIGMA SOCIALE non permetta praticamente a nessun uomo di parlare di tali abusi o addirittura di denunciare, per evitare la risata del carabiniere in caserma e la derisione sociale. tanto che anche Eurostat parla di “meno di un 0.8% di individui di sesso maschile che avrebbero denunciato episodi di violenza sessuale subiti”. dai, sono ridicoli certi ragionamenti a metà.