Lo spirito imprenditoriale e il fare impresa
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Secondo John Byrne, che ha compilato per la rivista Fortune una classifica dei 12 migliori imprenditori “dei nostri tempi”, con personaggi del calibro di Steve Jobs, Bill Gates, Mark Zuckerberg e molti altri, la caratteristica di personalità dell’imprenditore di successo è quella di essere “sognatore e concreto”, come ad esempio lo fu Jeff Bezos, l’inventore di Amazon, quando nel 1992 dette le dimissioni da vice presidente di una delle più grandi compagnie finanziarie di New York per inseguire l’idea di vendere libri sulla Rete.
La personalità dell’imprenditore dunque non è affatto irrilevante. Come dice lo psicologo Dr. Martin Obschonka della Friedrich Schiller University di Jena (Germania) “le persone con una struttura di personalità imprenditoriale sono più aperte a nuove esperienze, più estroverse e coscienziose. Inoltre, sono persone meno ansiose e non tendono a evitare i conflitti con gli altri”.
Una struttura di personalità di questo tipo del resto non nasce dal nulla, ma è il risultato di fattori genetici che interagiscono con fattori ambientali. Insieme ad un team composto anche da colleghi tedeschi e americani, il Dr. Obschonka ha scoperto una cosa molto curiosa, relativa alla personalità imprenditoriale: essa non è diffusa in egual misura in tutti i luoghi del mondo, ma si concentra in alcune aree del pianeta. Per lo studio, gli psicologi hanno analizzato i dati relativi alla struttura di personalità di più di mezzo milione di cittadini statunitensi, circa 20.000 tedeschi e circa 15.000 britannici. I dati ottenuti sono stati poi correlati con le informazioni sulla situazione economica presente nelle rispettive zone geografiche. Lo studio, pubblicato nel prestigioso ‘Journal of Personality and Social Psychology’ ha rivelato che vi è una stretta relazione tra la distribuzione della struttura di personalità imprenditoriale all’interno di una popolazione e il peso economico delle rispettive regioni.
Per la prima volta dunque, questo studio ha permesso di pubblicare delle mappe “psicologiche” relative alla presenza di strutture di personalità imprenditoriali negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Germania. Si è visto così che i potenziali imprenditori si trovano diffusamente in zone come il Colorado o lo Utah, mentre ad esempio sono carenti in quella zona depressa americana, dall’economia in declino, rappresentata dalla Rust Belt o in alcuni Stati del centro sud degli Usa (es. Mississipi). Secondo lo studio vi sarebbe una chiara significatività statistica fra presenza di persone con una struttura di personalità portata per l’imprenditoria e numero di start up della zona.
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Naturalmente, dicono i ricercatori, non si tratta solo di fattori genetici: la personalità individuale infatti interagisce con il clima imprenditoriale della regione in cui si vive e determina il tasso di creazione di nuove imprese in una determinata area.
Risultati simili sono presenti in Germania: “Berlino e Amburgo sono in prima linea, mentre Brandeburgo e la Sassonia sono al limite inferiore della scala”, afferma il co-autore Prof. Schmitt-Rodermund; in Gran Bretagna invece, è in particolare nella regione intorno a Londra e nell’Inghilterra dell’est che si registra un numero particolarmente elevato di persone con struttura di personalità imprenditoriale. Personalità non adeguate all’imprenditoria, secondo lo studio, si troverebbero invece diffusamente in Scozia, Galles e Irlanda del Nord (la zona con i livelli di intelligenza imprenditoriale più scarsi in assoluto). Anche qui una correlazione tra distribuzione regionale della personalità imprenditoriale e distribuzione regionale delle attività imprenditoriali appare evidente.
Probabilmente, dicono i ricercatori, questi dati sono il risultato della storia: in America i primi coloni che si spostarono verso ovest nel 19° secolo, erano forse coloro che più degli altri erano alla ricerca di sfide imprenditoriali e questi soggetti hanno trasmesso questi tratti di personalità ai propri discendenti. Qualcosa di simile potrebbe essere accaduto in Germania: dopo la seconda guerra mondiale molti aspiranti imprenditori hanno lasciato la Germania orientale per stabilirsi nella più prospera Germania occidentale. Questa potrebbe essere la ragione per cui nelle zone orientali della Germania si trovano oggi poche persone con struttura di personalità imprenditoriale. Un ulteriore motivo, sempre a detta dei ricercatori, potrebbe essere il processo di socializzazione legato alle culture locali: i ‘valori imprenditoriali’ possono essere trasmessi dai genitori o dalle istituzioni sociali.
Letta questa ricerca, mi viene da riflettere sul fatto che i fattori genetici o culturali, per quanto importanti, c’entrino ben poco con la capacità di fare impresa. Non si può fare impresa se non vi sono le condizioni per farlo. In primis, occorre vivere in uno Stato che favorisca la libera iniziativa, che la incoraggi, sostenendo l’imprenditore in ogni modo, specialmente se è giovane. Negli Stati Uniti, ad esempio, i giovani imprenditori appaiono felici e soddisfatti, mentre qui in Italia essi chiudono le loro aziende e frequentemente si suicidano. Dipende dalla genetica? Dai valori familiari? Dalle migrazioni ottocentesche verso l’America? Credo proprio di no.
Per capirlo, mettiamo semplicemente a confronto due studi, recentemente pubblicati: il primo riguarda la situazione americana, il secondo quella italiana. Lo studio della Bank of America è stato condotto su 1.300 piccoli imprenditori ed ha scoperto che più della metà di loro (72%) sente di aver migliorato il proprio stato di salute grazie al proprio business e questo è particolarmente vero fra i più giovani (nati negli anni Ottanta e Novanta). Le ragioni: il 35% ha detto che essere imprenditori permette di fare più esercizio fisico; il 29%, grazie al proprio lavoro, si è detto più attento alle abitudini alimentari e alla durata del sonno (sette o otto ore per notte).
La ricerca mostra inoltre che i piccoli imprenditori americani, così soddisfatti per la salute fisica raggiunta, tendono anche a chiedere ai propri dipendenti uguali comportamenti salutistici e loro stessi si adoperano per migliorare le condizioni di lavoro dello staff, ad esempio attraverso la concessione di orari flessibili o lavoro da portare a casa, oltre alla concessione di svaghi di vario genere sul luogo di lavoro (dagli snack ai massaggi). Non che i piccoli imprenditori americani non siano stressati, si legge nell’articolo: certamente essi sono preoccupati per la crisi economica, la gestione dei flussi di cassa o la soddisfazione dei clienti, ma si dicono molto ottimisti nei riguardi del futuro, dal momento che si aspettano buoni guadagni, ritengono che l’accesso al credito sia sufficiente e il 31% di loro sta programmando nuove assunzioni di personale. Insomma, una cronaca che pare provenire da un altro pianeta.
L’altro studio, che volevo confrontare con quello americano, è quello dell’Osservatorio sull’imprenditoria giovanile realizzato dall’Ufficio studi di Confartigianato e presentato alla Convention nazionale dei Giovani Imprenditori di Confartigianato, organizzata a Roma il 3 e 4 maggio. Qui i giovani che hanno scelto l’imprenditoria non sembrano altrettanto soddisfatti, dal momento che la crisi economica che stiamo vivendo ha determinato, negli ultimi cinque anni, la chiusura del 16% delle aziende gestite da giovani imprenditori. La media europea si attesta su un -8,9%, ma c’è anche chi sta peggio di noi (ad esempio, in Spagna i giovani imprenditori si sono ridotti di oltre un quarto: -27,0%).
L’Italia tuttavia non sembrerebbe carente di personalità predisposte all’imprenditoria (nonostante i flussi migratori del secolo scorso…) visto che conta in Europa il maggior numero di lavoratori autonomi tra i 15 e i 39 anni: i nostri lavoratori autonomi sono infatti 1.736.400, contro il Regno Unito che ne conta 1.319.700, o la Germania, che si ferma a 959.100. Se in Italia (dati Confartigianato) il 19,2% dei giovani occupati under 40 lavora in proprio, una percentuale quasi doppia rispetto al 10,3% della media europea, possiamo dedurne che siamo un popolo di imprenditori, oltre che di santi e navigatori? Noi cultori dei valori delle leggi del mercato?
O semplicemente dobbiamo ammettere che migliaia di giovani sono stati indotti a fare un lavoro verso il quale non sentivano alcuna predisposizione, illusi da idee liberiste (il lavoro non si cerca, lo si crea) che forse ormai non sottoscriverebbero più, visti i risultati che hanno prodotto, neanche Reagan e la Thatcher, e dalla necessità di trovarsi un’occupazione, qualunque essa sia. Dai dati che vediamo e confrontiamo, vediamo che non è la piccola imprenditoria giovanile a creare ricchezza (soprattutto quando si tratta di lavoro dipendente mascherato da imprenditoria…) e, forse, i giovani avrebbero piuttosto bisogno, per fare esperienza, di essere accolti, almeno all’inizio della propria carriera, in Gruppi di una certa dimensione, dove sia possibile formarsi e crescere professionalmente, oltre che umanamente. Il problema italiano, dicono alla Confartigianato, è da ricercarsi nella carenza di infrastrutture, nell’alto costo del denaro, nel fisco oppressivo, nella burocrazia… Tutto vero.
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Ma perché non considerare anche il fatto che molti degli imprenditori che chiudono (o che si suicidano) non siano psicologicamente predisposti per svolgere questo mestiere? Quanti di questi piccoli imprenditori in crisi avrebbero preferito un tranquillo posto di lavoro alle Poste? Come afferma la ricerca iniziale, la capacità imprenditoriale non nasce dal nulla: se si vogliono creare menti votate all’imprenditoria, questo imprinting di creatività e di concretezza deve svilupparsi già alla scuola materna, si deve respirare nell’aria, si devono poter osservare esempi di successo e, soprattutto, deve essere una scelta, non una costrizione.
Dr. Giuliana Proietti
Intervento del 14-09-2024 su Sessualità e Terza Età
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Pubblicato anche su Huffington Post
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Dr. Giuliana Proietti
Psicoterapeuta Sessuologa
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La Dottoressa Giuliana Proietti, Psicoterapeuta Sessuologa di Ancona, ha una vasta esperienza pluriennale nel trattamento di singoli e coppie. Lavora prevalentemente online.
In presenza riceve a Ancona Fabriano Civitanova Marche e Terni.
- Delegata del Centro Italiano di Sessuologia per la Regione Umbria
- Membro del Comitato Scientifico della Federazione Italiana di Sessuologia.
Oltre al lavoro clinico, ha dedicato la sua carriera professionale alla divulgazione del sapere psicologico e sessuologico nei diversi siti che cura online, nei libri pubblicati, e nelle iniziative pubbliche che organizza e a cui partecipa.
Per appuntamenti:
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