Franco Basaglia – Parte IV – La legge Basaglia è stata un errore?
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La legge Basaglia è stata un errore? Continua l’articolo di John Foot. In questa quarta e ultima parte si arriva alle conclusioni.
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PARTE QUARTA
Conclusione: la storia di un movimento
Nel 1978 vi fu l’approvazione delle leggi 180 e 883, che istituirono il servizio sanitario nazionale in Italia e portarono alla chiusura di tutti gli ospedali psichiatrici. Nel 1980, Basaglia morì di un tumore al cervello. Aveva solo 56 e non avrebbe visto le riforme che aveva ispirato messe in pratica. Franca Ongaro (moglie di Basaglia), portò avanti la lotta per implementare queste leggi. E’ stata una battaglia lunga e difficile, e ci sono stati numerosi tentativi di bloccare o semplicemente ignorare le riforme. Alla fine, tuttavia, la battaglia è stata vinta.
La storia del movimento radicale cominciato (all’interno e all’esterno della psichiatria) a Gorizia nei primi anni sessanta ha poi toccato tanti altri luoghi: Arezzo, Parma, Perugia, Reggio Emilia, Trieste. Un piccolo gruppo di psichiatri giovani e radicali, guidati da Basaglia a Gorizia e da altri in diverse città, si rifiutò semplicemente di accettare lo stato di cose che avevano visto nel manicomio. Nella loro spinta per cambiare le cose, questi psichiatri furono aiutati e supportati da infermieri, volontari e soprattutto (in alcuni casi) da una nuova classe di amministratori e politici. Questa classe politica del dopo guerra era per un nuovo modello di psichiatria e per la trasformazione (e, infine, la chiusura) del vecchio sistema manicomiale. Essi non erano guidati da avidità, o da desiderio di potere, ma da principi umanistici e da un imperativo morale per impegnarsi nella riforma (ritenevano semplicemente che i manicomi non fossero accettabili).
Si è trattato di un ‘no’ collettivo. E questo ‘no’ ha cambiato il mondo. Non era accettabile trattare le persone in quel modo: senza diritti, senza autonomia, senza coltelli e forchette, senza capelli, senza alcun controllo sulle cure che venivano loro somministrate. Era stato sbagliato fulminare il cervello di queste persone, o tagliarlo a pezzi, o legare i loro corpi per anni e anni. Questo movimento è stato una lotta per la liberazione, per la democrazia e per l’uguaglianza. Questi 100.000 pazienti dei manicomi erano infatti scomparsi dalla storia.
Avevano bisogno di riemergere, di vedersi riconosciuta la loro identità e dignità. Questa generazione di politici e psichiatri del periodo post bellico erano una generazione di antifascisti. C’era qualcosa di profondamente antifascista nel movimento anti-manicomiale. Era un movimento per i diritti umani. Le persone all’interno dei manicomi erano persone.
Gli altri protagonisti di questa storia, quindi, sono i pazienti stessi. Anche loro sono stati parte del movimento, anche se raramente sono stati visti in questo modo: pazienti, come Carla Nardini a Gorizia – che era stata ad Auschwitz – o Mario Furlan (anche lui a Gorizia, e che in seguito si suicidò) A queste persone la rivoluzione della cura psichiatrica cambiò la vita, essi ne riconquistarono il controllo. Senza di loro, il movimento non avrebbe mai nemmeno cominciato a avere effetti.
L’Italia non ha visto la nascita di un vero e proprio movimento di pazienti dopo l’esperienza Basaglia. Le numerose cooperative che sono stati utilizzate per assorbire e reintegrare migliaia di pazienti di nuovo nel mondo del lavoro sono state più vicine all’esperienza presente del Regno Unito, di un movimento di utenti dei servizi. Tuttavia, Trieste ha avuto un’enorme influenza sugli ‘operatori’ : è stata una sorta di ‘utopia concreta’ per molti e è stata al centro del dibattito psichiatrico, nel Regno Unito e altrove. La chiusura dell’ospedale di Trieste ha dimostrato cosa era possibile fare o, come disse Basaglia, che ‘l’impossibile era possibile’ .
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Il movimento ha avuto il suo inizio a Gorizia, ma la sua portata è andata ben oltre la storia di Franco Basaglia e Franca Ongaro. Come ha sostenuto uno psichiatra: ‘la trasformazione della psichiatria italiana è stato il risultato di un movimento policentrico’ (Giacanelli, 2008). I Basaglia tuttavia furono cruciali – centrali – per questo movimento di cambiamento.
Lungo la strada del cambiamento ci sono stati grandi rischi. Alcune persone sono state uccise, altre si sono suicidate. Le famiglie hanno avuto a che fare con figli, figlie, madri e padri che avevano seri problemi, e che erano stati rinchiusi per anni. Il mondo esterno si presentava come un posto difficile, in tanti modi.
E’ stato facile per gli ex-pazienti cadere nelle falle della società. Una volta che il nemico, il manicomio, era stata abolito, iniziava il vero lavoro. Come ha scritto Forgacs (2014): ‘La storia della riforma psichiatrica in Italia non si è conclusa con l’approvazione della legge 180 nel maggio 1978. Al contrario, la fase più difficile del movimento per la riforma è iniziata quando la legge è entrata in vigore.’
Senza dubbio, il movimento è stato caratterizzato anche da numerosi “eccessi” di ideologia, esagerazioni, uso di un linguaggio acceso e pericoloso, con semplificazioni e dogmatismi, settarismo e aspre dispute su ciò che sembra, oggi, avere davvero scarsa importanza. Questi eccessi sono stati spesso ripresi dai seguaci del movimento, i cui slogan e le cui frasi vuote hanno fatto ben poco per aiutare le persone con problemi di salute mentale nel mondo reale. Basaglia stesso era consapevole del fatto che erano stati commessi degli errori.
Spesso, il linguaggio usato dal movimento ha fornito ai nemici del movimento le armi per combatterlo. Gli slogan maoisti erano comuni. Ci si è spinti troppo lontano. Troppo spesso è stato pensato e affermato che vi fosse un legame problematico tra classe sociale e malattia mentale, come se fosse un fatto ovvio. Nei tempi inebrianti e violenti degli anni settanta, i “traditori” venivano facilmente identificati e respinti. Il movimento è stato lacerato da conflitti, divisioni personali e iperboli.
Solo a posteriori si può cercare tra le ceneri di ciò che è accaduto per tentare di portare un po’ d’ordine. Fu un momento di eccessi. La rivoluzione sembrava essere dietro l’angolo. Non era così.
Chiedere aiuto è il primo passo!
La componente chiave finale del movimento sono stati i compagni di viaggio: intellettuali, scrittori, cineasti, giornalisti, fotografi e artisti, che hanno donato il loro tempo e il loro talento per accelerare il cambiamento. Queste persone sono state fondamentali per il successo del movimento, in quanto sono state il collegamento tra le teorie dei leader e le masse.
Fu così per editori, produttori televisivi e cinematografici, registi, artisti e fotografi. Quando più di 10 milioni di persone videro nelle loro case, sui loro schermi televisivi, nel gennaio 1969, i pazienti dell’ospedale psichiatrico di Gorizia parlare al giornalista Sergio Zavoli, il movimento ricevette una spinta, che non avrebbe mai avuto, con qualsiasi altro mezzo.
Oggi, gli ex manicomi italiani svolgono una varietà di funzioni. Alcuni sono vuoti e abbandonati. Altri sono “musei della mente ‘. Molti mantengono ancora i collegamenti con i servizi sanitari e di salute mentale. Alcuni sono scuole, altri sono università, o abitazioni. La maggior parte sono ora dei bei parchi, almeno in parte.
La società ha assorbito la maggior parte dei 100.000 malati di mente che erano stati tenuti all’interno delle istituzioni manicomiali. Questo cambiamento del sistema è venuto da un movimento che ha agito all’interno delle istituzioni stesse, in un modo che è stato unico nel mondo occidentale. I manicomi in Italia sono stati chiusi dalle persone che lavoravano al loro interno. In tal modo, queste persone hanno determinato la chiusura dei loro posti di lavoro – per sempre. Nessuno, oggi, è direttore di un ospedale psichiatrico in Italia. Il movimento ha agito contro il proprio interesse, in un modo che è stato l’opposto di clientelismo, patrocinio e nepotismo. Essi hanno negato se stessi.
Molto di ciò che si pensava nei giorni inebrianti del movimento non è avvenuto. L’interesse per la psichiatria radicale cominciò presto a svanire. Il movimento finì sulla difensiva, aggrappandosi ai successi degli anni sessanta e settanta. Come scrisse uno dei protagonisti, nel 1969:
Eravamo alla ricerca di una alternativa alla psichiatria: stavamo sperimentando e cercando nuovi modi di fare le cose. Nella nostra società, una forma alternativa di psichiatria era possibile solo in parte e solo per un breve tempo. In seguito, soprattutto nei luoghi in cui funzionava, divenne ‘pericolosa’ e poi fu repressa o integrata, neutralizzata. Tutto questo è stato inevitabile e noi sapevamo che le cose stavano così, ma abbiamo tutti imparato molto durante questa lunga marcia. (Jervis, 1969).
Una Conferenza sulla Paura
Non è facile scrivere di questo movimento, con i suoi miti, le divisioni, i silenzi e le memorie possessive. C’era qualcosa nel movimento stesso che ha creato problemi in termini di memoria. Una versione di quel passato esiste, ma è in gran parte celebrativa. Le versioni pubbliche prevalenti della storia di Trieste-Basaglia tendono, comunque, a semplificare il passato.
I dibattiti contemporanei sulle riforme e le idee di Basaglia tendono a concentrarsi su due aree. La prima è legata alla chiusura dei manicomi, e alle strutture alternative che sono state istituite in vari paesi (come in Italia) per ‘rimpiazzarli’. Una considerevole parte dell’opinione pubblica sostiene che la ‘Legge Basaglia’ sia stato un errore, che i pazienti siano stati ‘abbandonati’ e che non sia riuscito il progetto di creare strutture alternative adeguate. Ma ci sono molte parti d’Italia con servizi eccellenti, che sono ancora l’invidia del mondo.
Una seconda serie di dibattiti è legata al movimento stesso, e ai suoi eccessi. Qui vi è una tendenza a mitizzare, da un lato, e a demonizzare, dall’altro.
Concludendo, si può dire che la ‘Legge Basaglia’, con tutti i suoi limiti e le sue inadeguatezze, rimane uno dei più grandi esempi di riforma legati alle teorie e alle pratiche radicali degli anni sessanta e settanta.
A cura di: Dr. Giuliana Proietti
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Dr. Giuliana Proietti
Psicoterapeuta Sessuologa
TERAPIE INDIVIDUALI E DI COPPIA
ONLINE
La Dottoressa Giuliana Proietti, Psicoterapeuta Sessuologa di Ancona, ha una vasta esperienza pluriennale nel trattamento di singoli e coppie. Lavora prevalentemente online.
In presenza riceve a Ancona Fabriano Civitanova Marche e Terni.
- Delegata del Centro Italiano di Sessuologia per la Regione Umbria
- Membro del Comitato Scientifico della Federazione Italiana di Sessuologia.
Oltre al lavoro clinico, ha dedicato la sua carriera professionale alla divulgazione del sapere psicologico e sessuologico nei diversi siti che cura online, nei libri pubblicati, e nelle iniziative pubbliche che organizza e a cui partecipa.
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Che “la ‘Legge Basaglia’, con tutti i suoi limiti e le sue inadeguatezze, rimanga uno dei più grandi esempi di riforma legati alle teorie e alle pratiche radicali degli anni sessanta e settanta” lo dice lei, senza uno straccio di supporto di dati e percentuali circa gli omicidi e aggressioni da parte di malati psichiatrici che ignare vittime devono subire ogni giorno in Italia. La Legge Basaglia è stata un’emerita schifezza (e infatti nn ce l’ha copiata nessuno all’estero). I malati di mente in giro per le strade e i quartieri italiani, non sono affatto seguiti, o poco seguiti, e lasciati totalmente in carico ai familiari e alla collettività, a spese dei familiari e della collettività. Allora io mi domando che servizio pubblico venga fornito (a parte qualche colloquio in cui è d’obbligo colpevolizzare le famiglie del malato di mente), nessuna struttura che li possa seguire H24, nessun aiuto per i familiari costretti a subire angherie e violenze da parte di schizofrenici, anche violenti, che troppo spesso rifiutano le cure. Dato che non c’è possibilità di allontanarli, se non dopo un “fatto eclatante”, mi domando anche con che coraggio ci si vanti di una riforma altamente lacunosa che, de facto, ha scaricato totalmente responsabilità e problemi ai familiari (che non sono laureati in medicina-psichiatria, né psicologi) e alla società, costretti a gestire un malato di mente come meglio possono, vivere nello stress quotidiano e nella paura, sperando che non accada il “fatto eclatante”.