Decenni di ricerca sul modo in cui funziona la memoria dovrebbero avere rivoluzionato l’insegnamento universitario. Ed invece non è così.
Se siete studenti, quello che sto per dirvi vi permetterà di cambiare il modo di studiare e renderlo più efficace, più divertente e più facile. Se invece insegnate presso un’Università – come nel mio caso – viene da vergognarsi per il fatto che sappiamo queste cose da decenni, ma continuiamo ad insegnare allo stesso modo.
C’è un’idea pericolosa nell’istruzione ed è quella che gli studenti siano dei contenitori, mentre gli insegnanti siano responsabili di fornire loro contenuti che li riempiano. Questo modello ci spinge a valutare gli studenti in base alla quantità di contenuti che essi possono assimilare, concentrandoci eccessivamente sulle frasi, piuttosto che sulle competenze, o sui programmi e le interrogazioni piuttosto che sui valori della didattica. Questo ci porta inoltre a credere che sia possibile cercare di imparare delle cose cercando di ricordarle a memoria. Sembra plausibile, forse, ma c’è un problema. La ricerca sulla psicologia della memoria dimostra che l’intenzione di ricordare è un fattore poco rilevante nella memorizzazione. Molto più importante, se si vuole ricordare qualcosa, è il modo di pensare ai contenuti, quando li si incontra per la prima volta.
Un esperimento classico di Hyde e Jenkins (1973) illustra questo fatto. Questi ricercatori hanno fornito ai partecipanti una liste di parole, ed in seguito hanno fatto un test per comprendere come i soggetti avevano memorizzato le parole. Per influenzare il loro modo di pensare alle parole, alla metà dei partecipanti è stato chiesto di valutare il livello di piacevolezza di ogni parola, e all’altra metà è stato invece detto di controllare se la parola conteneva le lettere ‘e’ o ‘g’. Questa manipolazione è stata progettata per influenzare ‘la profondità dell’elaborazione’. I partecipanti che dovevano definire la “piacevolezza” di una parola dovevano pensare a cosa significasse la parola, e fare riferimento a sé stessi (cosa provavano nei riguardi della parola). Questa è stata definita “elaborazione profonda”. I partecipanti che dovevano invece semplicemente controllare le lettere non avevano neanche bisogno di leggere la parola, se non volevano. Questa è stata definita “elaborazione superficiale”.
L’esperimento prevedeva una ulteriore manipolazione, indipendente dalla precedente, relativa alla consapevolezza dei partecipanti di essere poi sottoposti ad un successivo test sull’apprendimento delle parole. Alla metà di ogni gruppo fu detto che sarebbero stati valutati (apprendimento intenzionale) e alla metà non è stato detto, per cui il test sarebbe stato una sorpresa (apprendimento accidentale).
Ho fatto un grafico in modo da poter vedere gli effetti di questi due manipolazioni.
Come potete vedere, non c’è molta differenza tra le condizioni intenzionali e accidentali di apprendimento. Se i partecipanti si impegnavano a cercare di ricordare le parole, questo non influenzava il numero di parole che poi ricordavano. Invece, l’effetto principale è dovuto al modo in cui i partecipanti hanno pensato alle parole che hanno incontrato. I partecipanti che hanno pensato profondamente alle parole, le hanno ricordate in misura quasi doppia dei partecipanti che avevano pensato solo superficialmente alle parole, indipendentemente dal loro desiderio di ricordarle o meno.
Le implicazioni per il modo di insegnare ed imparare dovrebbero essere chiare. Impegnarsi a ricordare, o chiedere a qualcuno di ricordare, non è efficace. Se si vuole ricordare qualcosa occorre pensarci profondamente. Questo significa che è necessario pensare a ciò che si sta cercando di ricordare, sia in relazione ad altri contenuti che si sta cercando di imparare, sia riguardo a sé stessi. Altre ricerche sulla memoria hanno mostrato l’importanza dello schema – i modelli e le strutture della memoria – per il ricordo. Come insegnanti, cerchiamo di organizzare il nostro materiale didattico per favorire gli studenti, per aiutarli a capire meglio. Purtroppo, questa organizzazione del materiale (lo schema), diventa parte della valutazione e dunque qualcosa che gli studenti devono ricordare. Ciò che questa ricerca suggerisce è che, semplicemente in termini di memoria, sarebbe più efficace per gli studenti cercare di organizzare a loro piacimento il materiale didattico.
Se siete degli studenti, ciò che questo studio dimostra è chiaro: non vi stressate nel leggere e rileggere i libri di testo e gli appunti del corso. Ricorderete meglio (e capirete molto meglio) se cercherete di riorganizzare il materiale a modo vostro.
Se siete degli insegnanti, come me, questa ricerca solleva alcuni inquietanti interrogativi. Presso l Università la principale forma di insegnamento che svolgiamo è la lezione, che pone lo studente in un ruolo passivo e, in sostanza, gli chiede di “ricordare queste cose” – un’istruzione che sappiamo essere inefficace. Invece, dovremmo pensare, sempre, a come creare esperienze di insegnamento in cui gli studenti siano più attivi, e a programmare corsi in cui sia ammesso che gli studenti possano organizzare a loro modo i contenuti, piuttosto che semplicemente costringerli ad assimilare il nostro modo di organizzare le cose.
Riferimento bibliografico: Hyde, T. S., & Jenkins, J. J. (1973). Recall for words as a function of semantic, graphic, and syntactic orienting tasks. Journal of Verbal Learning and Verbal Behavior, 12(5), 471–480.
Tom Stafford
L’articolo è pubblicato anche su Mind Hacks
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Tom Stafford
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Tom Stafford è un ricercatore della facoltà di Psicologia e Scienze Cognitive, nel Dipartimento di Psicologia dell’Università di Sheffield. E’ anche membro dell’ Adaptive Behaviour Research Group .