Il perdono come terapia
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Il perdono rappresenta un’importante risorsa terapeutica nel campo della psicologia clinica. I suoi effetti positivi sul benessere mentale e sulle relazioni interpersonali lo rendono un elemento cruciale nei processi di guarigione e di crescita personale. Vediamo allora di saperne di più.
Cosa è il perdono?
Il perdono può essere definito come un processo psicologico in cui un individuo rinuncia ad avere sentimenti negativi verso un’altra persona o sé stesso, riducendo così il risentimento e promuovendo al suo posto sentimenti di compassione, empatia e pace interiore. Questo processo coinvolge la decisione conscia di non ricercare vendetta o ritorsioni per un’offesa subita.
Cosa significa la parola “perdono”?
Dal punto di vista etimologico perdonare significa concedere un dono. E’ così in molte lingue (inglese ‘forgive’ , francese ‘pardonner’, tedesco ‘vergeben’, con lo stesso significato di “per-dono”).
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Il perdono dipende da un credo religioso?
No. Sebbene il termine “perdono” possa far pensare a concetti religiosi, esso non è necessariamente legato alla religione. Vi sono oggi molti studi scientifici che guardano al perdono come forma di terapia per raggiungere un maggiore benessere personale.
Sono stati sempre tutti d’accordo sul fatto che il perdono sia la migliore scelta possibile?
Assolutamente no. Ecco alcuni esempi:
Nel Talmud si legge: ‘chi è pietoso contro i crudeli finisce con l’essere crudele verso i pietosi’.
In campo filosofico, tra le voci contrarie al perdono possiamo ricordare Voltaire, il quale diceva che ‘chi perdona al delitto ne diventa complice’ o Friederich Nietzsche, anche lui contrario al perdono, soprattutto in quanto contrario alla morale cristiana, che riteneva essere la ‘morale degli schiavi’. Per il filosofo infatti, chi perdona è un debole, è una persona incapace di far valere i propri diritti; la bontà è solo la dimostrazione dell’incapacità di ribellarsi e di rivalersi, mentre la pazienza è sinonimo di codardia ed il perdono è solo l’incapacità di vendicarsi.
Schopenhauer è della stessa idea: tra i suoi aforismi sulla saggezza della vita troviamo il seguente: ‘Perdonare e dimenticare vuol dire gettare dalla finestra una preziosa esperienza già fatta’.
In campo psicoanalitico anche Freud ha affrontato l’argomento, mostrandosi anch’egli contrario al perdono. Lo riteneva infatti una pretesa assurda e incomprensibile, dannosa per la salute psichica dell’individuo, perché avrebbe fatto toccare il limite di sopportazione dell’Io rispetto alle pressioni pulsionali interne, producendo o una rivolta o la nevrosi (Freud S., Il disagio della civiltà).
Perdonare, secondo il padre della psicoanalisi, può aver senso solo in due casi:
1) come prova di sottomissione alla legge del più forte, in modo da lenire la sua aggressività, o
2) come accettazione del predominio del SuperIo, per ricavarne una soddisfazione narcisistica nel ritenersi superiori agli altri.
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Il perdono è sempre un atto di bontà?
No. Il perdono non è necessariamente un atto di bontà o altruismo: lo si può concedere anche perché ci si rende razionalmente conto che questo strumento può permettere di raggiungere un maggiore benessere personale.
Quanto tempo ci vuole per perdonare?
Per perdonare ci vuole tempo, perché occorre coinvolgere nel processo sia gli aspetti cognitivi, sia quelli emotivi, sia quelli comportamentali. Anzitutto occorre mettere a tacere il risentimento, la rabbia, il desiderio di vendetta o di punizione della persona che ha perpetrato l’offesa.
Perdonare è un gesto di debolezza?
No. Il perdono non va confuso con la timidezza o la debolezza morale. Se non si è in grado di punire, correggere, vendicare un’offesa, perché è impossibile, o perché razionalmente non ci sembra opportuno, la cosa migliore è far cessare il risentimento provato, se non altro per la sua inutilità.
Perdonare è sinonimo di dimenticare?
No. Perdonare non significa necessariamente dimenticare, ma solo fare in modo che l’offesa ricevuta non provochi più dolore. La dimenticanza provoca implicitamente il perdono, mentre il perdono non implica sempre la dimenticanza.
Perdono è sinonimo di riconciliazione?
No, neanche questo. Quando si perdona qualcuno, non è necessario riconciliarsi con l’autore del torto. Infatti, possono esserci in alcune persone degli atteggiamenti che perdurano nel tempo: che senso avrebbe, in questo caso, perdonare, per poi ritrovarsi nuovamente nella medesima condizione? Per questa ragione si può perdonare una persona che ci ha profondamente offeso, ma riallacciare i rapporti con lei potrebbe essere inutile o controproducente.
Al contrario, si deve essere consapevoli che non può esservi una vera riconciliazione senza il perdono.
Quali sono i benefici Psicologici del Perdono?
Numerose ricerche hanno dimostrato che il perdono può portare a una serie di benefici per la salute mentale e il benessere emotivo. Questi includono una riduzione dello stress, dell’ansia e della depressione, un miglioramento delle relazioni interpersonali, un aumento dell’autostima e una maggiore soddisfazione nella vita.
I benefici personali del perdono possono inoltre includere un maggiore senso di libertà. Il perdono infatti comporta la liberazione del sé da un nemico interno, costituito dall’odio. L’odio, come l’amore, è un sentimento molto forte, che può farci sentire legati indissolubilmente ad un’altra persona e che dunque fa si che l’offensore sia sempre nei pensieri dell’offeso. L’odio, come l’amore, crea dipendenza e richiede molte energie per essere sostenuto.
Cosa succede quando non si riesce a dimenticare?
Gli studi dimostrano che l’incapacità o la riluttanza a perdonare può avere un impatto negativo sulla salute mentale e sul benessere della persona che ha subito il torto, spesso causando problematiche psicologiche, come la depressione e l’ansia.
Non è naturale provare risentimento verso chi ci ha offeso?
Assolutamente si. Un atto offensivo subito ingiustamente suscita nella vittima dapprima un senso di smarrimento, anche a causa dell’effetto-sorpresa e della mancanza, sul momento, di adeguate strategie difensive.
In seguito però lo smarrimento si trasforma in sofferenza psicologica, la quale generalmente tende a manifestarsi in reazioni di tipo aggressivo, etero o auto-dirette.
L’aggressività nei confronti dell’offensore può esprimersi nella rabbia, nel desiderio di vendetta, cioè nel provocare all’altro danni o sofferenze di tipo simile a quelle che prova chi si sente offeso.
Nei comportamenti auto-aggressivi ci si può invece punire a causa di un calo dell’autostima, per non aver saputo prevedere i comportamenti dell’altro.
Quali altre emozioni si legano all’umiliazione subita?
In genere il sentimento di vergogna lo si prova nei confronti dell’umiliazione subita, specialmente se questa è di pubblico dominio, mentre la delusione è fortissima quando fra offeso e offensore c’è un legame profondo di affetto o di amore, come può avvenire fra parenti, coniugi, amici o affini.
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Vendetta e/o Giustizia: quale differenza?
Molte persone che hanno subito un torto non desiderano la vendetta, ma la giustizia. Si tratta di un meccanismo di razionalizzazione, un modo per canalizzare le proprie emozioni negative verso una modalità consolatoria socialmente più accettata.
Il perdono richiede empatia?
Si. Per perdonare occorre sapersi spogliare dei propri panni e sapersi mettere in quelli dell’offensore, cercando di vivere e reinterpretare la realtà guardandola da un’altra prospettiva, giustificando e comprendendo quelle che possono essere state le motivazioni di chi ha compiuto il gesto offensivo.
Quando è più facile perdonare?
Il processo del perdono richiede meno sforzi affettivi e cognitivi se l’offesa non è grave, se non è intenzionale, se l’offensore mostra rammarico e chiede scusa.
A cosa serve ammettere i propri errori?
Riconoscere i propri errori, se ce ne sono, può facilitare l’ammissione del torto da parte dell’offensore e permettere all’offeso una meno traumatica concessione del perdono. Sicuramente questo è un buon punto di partenza per reimpostare la relazione su basi più solide, che prevedano un codice di maggiore rispetto reciproco.
Il perdono è un atto privato?
Si. Il perdono può essere concesso anche se non è stato richiesto e quindi può riguardare anche persone che non si incontreranno più nella propria vita, anche perché potrebbero essere decedute. Non c’è bisogno che l’offensore sappia che è stato perdonato, perché il perdono è un atto privato e lo si può concedere anche se l’altro non ne è a conoscenza e perfino nel caso che l’altro non sia d’accordo.
Quando si deve perdonare se stessi?
In alcune occasioni potrebbe essere necessario saper perdonare se stessi per un atto sbagliato, reale o percepito come tale.
Alcune persone che hanno fatto delle scelte nella vita, di cui in seguito si sono pentite, potrebbero avere difficoltà a perdonarsi. In questo caso si possono avere problemi di salute, come ansia, depressione e stress, e queste condizioni possono causare sintomi fisici come pressione alta, dolore e affaticamento, o portare all’ autolesionismo. Un individuo che mantiene per lungo tempo un feroce rancore contro se stesso può anche essere più propenso a intraprendere comportamenti rischiosi e pericolosi come l’abuso di sostanze e alcol, o rendersi aggressivo verso gli altri.
Ci vuole tempo, anche per perdonare se stessi?
Si. La ricerca mostra che coloro che si perdonano prontamente dopo aver commesso degli errori possono sperimentare una riduzione dell’empatia, e potrebbero essere anche meno inclini a fare ammenda alla vittima. L’auto-perdono può essere più efficace e benefico quando include un’attenta riflessione sull’errore, l’ammissione dell’errore, l’empatia per la vittima, ed anche qualche tipo di riparazione per il proprio errore.
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Quali sono i metodi e gli interventi terapeutici per favorire il perdono?
Sono stati sviluppati vari metodi e interventi per facilitare il processo del perdono, come la terapia cognitivo-comportamentale focalizzata sul perdono, l’allenamento alla mindfulness e la pratica della gratitudine.
Tali interventi si concentrano sull’esplorazione e sulla comprensione dei sentimenti negativi, sulla promozione dell’empatia e sulla promozione di nuove prospettive.
Con l’aiuto di un terapeuta si possono avere maggiori possibilità di esplorare i propri sentimenti riguardo a un’offesa o a un torto subiti, e quindi iniziare il processo del perdono. Questo atto riduce i sentimenti di amarezza e di delusione ed ha anche un effetto catartico, di liberazione.
In Terapia occorre impegnarsi nei seguenti compiti:
. Capire perché l’altra persona ci ha offeso o danneggiato;
. Empatizzare con la posizione dell’altra persona;
. Riflettere sulle conseguenze negative del rancore e sulla sua inutilità.
Il gesto del perdono è solo l’ultimo atto che riguarda questo lungo processo.
Dr. Giuliana Proietti
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Dr. Giuliana Proietti
Psicoterapeuta Sessuologa
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La Dottoressa Giuliana Proietti, Psicoterapeuta Sessuologa di Ancona, ha una vasta esperienza pluriennale nel trattamento di singoli e coppie. Lavora prevalentemente online.
In presenza riceve a Ancona Fabriano Civitanova Marche e Terni.
- Delegata del Centro Italiano di Sessuologia per la Regione Umbria
- Membro del Comitato Scientifico della Federazione Italiana di Sessuologia.
Oltre al lavoro clinico, ha dedicato la sua carriera professionale alla divulgazione del sapere psicologico e sessuologico nei diversi siti che cura online, nei libri pubblicati, e nelle iniziative pubbliche che organizza e a cui partecipa.
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