Molto spesso i dipendenti hanno la sensazione che il loro capo, al lavoro, non li ascolti o, peggio, finga di ascoltarli.
In uno studio (“The Risks Of Ignoring Employee Feedback“), i dati mostrano che solo il 23% delle persone ritiene che il capo realmente ascolti e comprenda quello che gli viene detto, mentre il 17% afferma che il capo non risponde mai in modo coerente, il che fa pensare che non abbia ascoltato.
Eppure sembrerebbe normale che chi esercita un ruolo di potere all’interno di una organizzazione abbia la capacità di avvicinarsi ai suoi sottoposti, cercando di comprendere i loro problemi.
Secondo la Harvard Business Review, la ragione principale per cui le persone lasciano il lavoro è che non vanno d’accordo con il capo. Ci sono, certamente, anche altri motivi, come la mancanza di opportunità di carriera, o migliori offerte di lavoro: in ogni caso, uno degli indicatori più significativi per capire la ragione delle dimissioni da parte di un dipendente è il cattivo rapporto con il capo.
Questo è particolarmente vero quando il motivo dei disaccordi è la mancanza di attenzione per quanto viene proposto, in base alla propria esperienza lavorativa: se al capo vengono suggeriti dei sistemi per migliorare la qualità del lavoro e lui/lei mostra scarso interesse nell’ascoltare quanto gli viene detto, questo può essere per il lavoratore particolarmente irritante o frustrante (a seconda della sua personalità).
Un conto infatti è considerare bene la cosa e poi rispondere con un no, più o meno motivato, un conto è non ascoltare nemmeno la proposta che viene fatta. Con quale credibilità i capi possono poi parlare ai dipendenti dei bisogni o delle esigenze del management o dei clienti?
Le persone tengono al loro lavoro: un lavoro che dura 5 giorni alla settimana, otto ore al giorno, corrisponde al 35% delle ore in cui una persona è sveglia durante la settimana. Se il lavoro non è soddisfacente, è normale che le persone si impegnino di meno, o si ammalino di ansia e depressione.
Quando si va a lavorare, lo si fa in primis per lo stipendio, ma non solo. Il lavoro è ciò che dà alla persona una identità con la quale viene dagli altri riconosciuta (“è” un pasticciere/un giornalista/un medico, e non “lavora” in una pasticceria/in una redazione/in un ospedale): è normale che il lavoratore desideri partecipare alle decisioni aziendali, anche solo relativamente alle proprie conoscenze e competenze.
Quando i capi mostrano indifferenza per le proposte del dipendente, è difficile che questo continui a sentirsi motivato a dare il meglio di sé, in quanto parte di una squadra.
Se il capo non fornisce alcun feedback alle istanze del dipendente, nessuna guida, nessun supporto ed è concentrato solo sugli obiettivi tattici, senza curarsi del come questi possano essere raggiunti, è evidente che il collaboratore è solo un numero e non una persona.
Quando la situazione è questa, molti arrivano a dire al loro capo che si stanno guardando intorno, alla ricerca di nuove opportunità, sperando in un interessamento in extremis, un atteggiamento, da parte del capo, che possa contrastare le sensazioni di disagio e di frustrazione vissute.
Se la risposta è “fai pure”, quello può essere per molti il punto di non ritorno: il momento di andarsene davvero, o di rinunciare definitivamente a vedere nel lavoro una fonte di soddisfazione, dando luogo ai ben conosciuti comportamenti di lassismo, noncuranza e assenteismo.
Dr. Walter La Gatta
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Dr. Walter La Gatta
Psicologo Psicoterapeuta Sessuologo
Delegato Regionale del Centro Italiano di Sessuologia per le Regioni Marche Abruzzo e Molise.
Libero professionista, svolge terapie individuali e di coppia
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