Esistono genitori realmente “perfetti”? Sicuramente no.
Molte persone credono nel mito dei genitori perfetti, cioè di una madre e un padre ideali che allevano bambini felici, ben adattati e senza problemi. In verità, non esiste al mondo una sola persona che abbia avuto un genitore perfetto, così come del resto non esistono figli perfetti, perché la perfezione non è nella natura umana. L’unico, vero, obiettivo che ci si potrebbe porre è quello di lavorare con i figli così come lo si fa con qualsiasi altro lavoro: con molto impegno, per ottenere i risultati sperati, pur agendo fra mille imperfezioni.
Allevare dei figli, di qualsiasi età, non è facile e occuparsi di loro occupa una parte significativa del tempo di un genitore. Quando i figli sono piccoli occorre continuamente correggerli, riprenderli, rassicurarli, come quando guardano troppo a lungo la TV, fanno giochi pericolosi, litigano con i fratelli, o hanno difficoltà a svolgere i compiti. Altri problemi comuni per i genitori riguardano i figli con un carattere difficile, o perché desiderano troppa indipendenza, o perché non hanno raggiunto un grado sufficiente di autonomia. In questi casi si può essere assillati dalla paura di sbagliare, di provocare traumi ai propri figli, determinandone l’insuccesso sociale e personale.
I genitori devono anzitutto accettare e riconoscere che, per quanto impegno ci mettano, è normale, nella loro posizione, non sentirsi mai del tutto soddisfatti, ma anzi spesso preoccupati, confusi, arrabbiati, colpevoli e talvolta inadeguati, a causa del comportamento dei figli. Tutto questo fa parte dell’essere genitore.
Tutti i genitori e tutti i figli commettono errori nei loro tentativi di comunicare e confrontarsi e nel tentativo di risolvere i problemi. I genitori, per questa ragione, devono anzitutto avere fiducia in se stessi: nel proprio impegno, ma anche nel proprio istinto. Madri e padri tendono infatti ad avere naturalmente delle buoni intuizioni nella conoscenza che hanno dei propri figli. Spesso essi sanno più di quanto pensano di sapere e quindi, affidandosi al buon senso, dovrebbero cercare soluzioni efficaci senza sentirsi terrorizzati dalla paura di commettere errori. I bambini, oltre tutto, sono spesso elastici e indulgenti verso i genitori e di solito imparano e crescono anche attraverso gli errori dei genitori. Per tutte queste ragioni, anche i genitori dovrebbero imparare dai loro figli ad essere altrettanto elastici e indulgenti, senza irrigidirsi su inutili perfezionismi.
L’importante è usare sempre il buon senso, il senso della misura. Ci sono genitori che esagerano nelle attenzioni, che “vivono solo per i loro figli”: per il bene dei loro figli essi farebbero invece bene a dedicarsi anche ad altre attività, sia per realizzare le loro aspirazioni, sia per trovare altre fonti di amore e tenerezza, senza puntare solo sulle gratificazioni che ricevono dai figli.
Inoltre, se i problemi diventano troppo difficili, i genitori dovrebbero far conto su un aiuto professionale, perché non è detto che essi debbano essere sempre competenti su qualsiasi problema possa avere il figlio.
Uno dei metodi più conosciuti negli ultimi anni, per educare i figli, è quello suggerito da Thomas Gordon, con il suo metodo P.E.T. Thomas Gordon è uno psicologo clinico che si è formato a stretto contatto con Carl Rogers; Il suo libro, ‘Genitori efficaci, Educare figli responsabili’ è ormai un classico ed è stato tradotto in 18 lingue. Il suo metodo ha come finalità quella di far diventare la famiglia uno spazio creativo e democratico.
Per ottenere questo, le pratiche educative sono basate sul rispetto, l’ascolto e la collaborazione nella soluzione dei conflitti.
Questi sono alcuni suoi consigli per essere ‘genitori efficaci’:
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- Imparare a decodificare il comportamento non verbale del figlio per determinare cosa lo disturba. Se ad esempio il bambino piange, il genitore deve rispondere empaticamente, con altri segnali non verbali.
- Aiutare il bambino a sviluppare gradualmente le proprie risorse, necessarie per superare la dipendenza dai genitori e per migliorare le capacità di risolvere i propri problemi autonomamente;
- Rimanere autentici nei confronti dei figli, non convincersi che interpretare il ruolo di genitore significhi rinunciare alla propria umanità, cioè non temere di mostrare i propri sentimenti e le proprie emozioni;
- Rispettare la personalità dei figli. Sentendosi accettati, i figli potranno anche prendere in considerazione l’eventualità di un cambiamento, mentre il sentirsi non accettati porta solo ad una maggiore distanza. Questa accettazione può essere esternata con il linguaggio verbale, con i gesti, con l’ascolto, attivo e passivo;
- Evitare le ‘dodici risposte tipiche’ dei genitori, che consistono nel: dare ordini, minacciare, fare prediche, consigliare, insegnare, giudicare, elogiare, ridicolizzare, interpretare, rassicurare, inquisire, minimizzare. (Questo genere di messaggi comunicano al figlio che i suoi sentimenti o i suoi bisogni non sono considerati importanti; il non sentirsi accettato, il temere il potere del genitore, possono provocare nel figlio sentimenti di risentimento o rabbia che potrebbero portarlo a reagire in modo ostile, cercando in tutti i modi di resistere alla volontà dei genitori);
Molta importanza, nella metodologia di Gordon, viene data all’ascolto, in un clima di empatica accettazione. Tra i vari tipi di ascolto:
- L’ascolto passivo, nel quale ci si astiene dal parlare, non senza comunicare all’altro il piacere di ascoltare quanto egli stia dicendo: lo si può fare con un sorriso, con uno sguardo, ecc.;
- Essere accoglienti e incoraggianti: inviare frasi-invito, del tipo: “capisco”, “davvero?”, “ma guarda …”. Nella comunicazione questi sono come dei segnali di via libera, che invitano a parlare, a raccontare. Se un ragazzo si sente libero di esprimersi (e non giudicato, rimproverato, consigliato, minacciato e via dicendo) riesce a parlare di sé, dei suoi errori, cercando di capirne le cause ed a volte trovando anche autonomamente le soluzioni;
- Mostrare il piacere di ascoltare, che può essere anche espresso in modo verbale, con un ‘raccontami come è andata’, ‘parla pure, ti sto ascoltando’, ‘dimmi cosa pensi di questa cosa’, ecc. E’ un modo un po’ più direttivo, ma comunque esprime rispetto e considerazione.
Dr. Walter La Gatta
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Dr. Walter La Gatta
Psicologo Psicoterapeuta Sessuologo
Delegato Regionale del Centro Italiano di Sessuologia per le Regioni Marche Abruzzo e Molise.
Libero professionista, svolge terapie individuali e di coppia
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