Freud e la madre Amalia
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Sigmund Freud, il fondatore della psicoanalisi, ha rivoluzionato il mondo della psicologia con le sue teorie sulla mente inconscia, i meccanismi di difesa e la sessualità infantile. Molti dei suoi concetti teorici, tuttavia, come il complesso edipico, nascono da profonde riflessioni sulla sua esperienza personale.
Tra le figure chiave nella vita di Freud c’è sua madre, Amalia Nathansohn Freud, con la quale ha condiviso un rapporto complesso e significativo, che ha influenzato non solo la sua vita personale, ma anche lo sviluppo delle sue teorie. Conosciamo meglio la signora Amalia e il rapporto che ebbe con il suo celebre figlio.
Amalia Nathanson Freud
Nascita
Amalia Freud (1835-1930) nacque in una famiglia ebrea di commercianti della Galizia (oggi Ucraina), ma in seguito la famiglia si trasferì a Vienna.
Matrimonio
Amalia Nathanson sposò Jakob Freud, un uomo molto più anziano di lei e già vedovo con due figli.
Amalia era una giovane donna attraente, ma aveva sposato un uomo con il doppio dei suoi anni, che conosceva a malapena, e aveva lasciato Vienna – allora una metropoli europea paragonabile a Parigi – per andare a vivere a Freiberg, una città di provincia della Moravia dove suo marito aveva un’attività di commercio di lana, peraltro poco remunerativa.
Le ragioni del matrimonio non sono chiare, ma l’amore a prima vista sembra improbabile. Secondo alcune ricostruzioni fantasiose, fu “venduta” dalla famiglia a Jakob Freud, vedovo e padre di due figli adulti, come punizione per una relazione amorosa non approvata dalla famiglia (Marianne Krüll, Sigmund, fils de Jacob ,Gallimard, 1983). Gabrielle Rubin ipotizza invece che Amalia fosse incinta del suo amante quando sposò Jakob il 29 luglio 1855 (Gabrielle Rubin, Le roman familial de Freud, Payot, 2002, 58).
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Amalia come figura materna
Il suo primo figlio, Sigmund nacque il 6 maggio 1856 “con la camicia”, cioè con una parte della membrana amniotica in testa, e la credenza popolare lo prese come un segno di buona fortuna.
All’epoca Amalia aveva solo ventuno anni. Il bambino fu chiamato Sigmund, (con il diminutivo Schlomo) in memoria di suo nonno paterno, che era morto poche settimane prima.
Amalia dette alla luce altri sette figli nei successivi dieci anni, quasi un parto all’anno. Il suo secondo figlio però, Julius, morì a soli sei mesi, il 15 aprile 1858. Gli archivi della comunità ebraica viennese dimostrarono che anche il fratello di Amalia, Julius, morì di tubercolosi un mese prima, a vent’anni. Questa duplice perdita comportò sicuramente un peso psicologico notevole per la giovane madre, con Sigmund ancora piccolo e un altro figlio presto in arrivo.
La sua devozione per Sigmund fu evidente sin dall’inizio: lo considerava un bambino speciale e gli attribuiva grande intelligenza e potenzialità, sentimenti che probabilmente contribuirono a costruire l’autostima di Freud, come scrisse l’altra figlia Anna: “Forse la fiducia di mia madre nel futuro destino di Sigmund ha avuto un ruolo determinante nella tendenza data a tutta la sua vita” (Anna Freud Bernays, “Mio fratello Sigmund Freud”, 1940).
Quando la famiglia si trasferì a Vienna, Sigmund ebbe una scrivania tutta per sé, arredata con una lampada a olio per poter studiare, mentre gli altri otto membri della famiglia si affollavano in altre due camere da letto, illuminate solo da candele.
Nei ricordi della sorella Anna, Sigmund era il classico primogenito privilegiato, un giovane tiranno in famiglia. Addirittura, ricorda Anna, le proibiva di leggere Balzac e Dumas perché non li riteneva adatti a una signorina di buona famiglia.
Anna ricorda anche che le piaceva prendere lezioni di piano, ma poiché il fratello non tollerava queste esercitazioni, che lo disturbavano nella sua concentrazione, le lezioni di piano in casa Freud cessarono immediatamente, per ordine della solita Amalia. (Anche se nella Vienna del tempo era cosa abituale che le ragazze della media borghesia prendessero a casa delle lezioni di pianoforte).
Questa situazione generò, inevitabilmente, risentimenti inespressi e rivalità tra fratelli.
Sappiamo che in pubblico Amalia era una persona molto gentile, ma nei confronti dei familiari era “tirannica e egoista” come la descrisse sua nipote Judith (Judith Bernays Heller, Freud as We Knew Him, Wayne State University Press, 1956).
Nessuno in famiglia invidiava, ad esempio, Dolfi, la sorella di Freud non sposata che si curava della madre anziana, definita dal nipote Martin “un tornado” (Martin Freud, Sigmund Freud: Man and Father, Vanguard, 1958).
Freud e il complesso edipico
Freud stesso riconobbe che il suo legame con la madre fu cruciale per la sua crescita psicologica e lo sviluppo della sua identità. Nella Interpretazione dei Sogni si chiese: “Potrebbe essere stata questa la fonte della mia sete di grandezza?”
In più di un’occasione, Freud raccontò il forte attaccamento provato per lei durante l’infanzia, come nella lettera che nel 1897 scrisse a Wilhelm Fliess; “Ho trovato anche nel mio caso, di essere stato innamorato di mia madre e geloso di mio padre, e ora lo considero un evento universale della prima infanzia”.
L’ansia da separazione era al centro delle ossessioni quotidiane del piccolo Freud. In una lettera a Fliess, lo psicoanalista fornì un resoconto dettagliato di uno dei suoi sogni ricorrenti: “Mia madre non si trovava da nessuna parte; stavo piangendo per la disperazione.” Il fratellastro Philipp, ventenne, aprì allora un guardaroba (un Kasten di uso austriaco), ma non era neanche lì. Il bambino piangeva disperato, fino a che Amalia entrò dalla porta, bella e snella.
Queste dinamiche familiari lo spinsero a sviluppare teorie centrali, come quella del complesso edipico.
La teoria epidica
Secondo la teoria edipica, Freud ipotizzò che ogni bambino, a un certo punto dello sviluppo psicosessuale, debba attraversare una fase in cui è attratto dal genitore del sesso opposto e vede l’altro genitore come un rivale.
La figura della madre, centrale nello sviluppo infantile, diventa nella teoria psicoanalitica il primo oggetto d’amore e il primo prototipo delle relazioni affettive future. Nelle sue opere, Freud esplorò ripetutamente il ruolo della madre nel plasmare il Sé e il rapporto tra desideri inconsci, amore e conflitto.
Nell’interpretare il complesso di Edipo, Freud riconosceva che le dinamiche familiari primarie – in particolare il rapporto madre-figlio – erano alla base della struttura psichica dell’individuo.
Rapporto affettivo
Per Freud la madre Amalia rappresentava una figura di amore assoluto e incondizionato, ma anche di grande pressione e aspettative.
Amalia nutriva aspettative molto elevate nei confronti del figlio e si aspettava che fosse sempre all’altezza della sua intelligenza e delle sue capacità. Il loro rapporto, per questo motivo, non fu privo di tensioni.
In termini di affetto, Freud provò un attaccamento profondo verso sua madre per tutto il resto della vita e, nonostante la sua inclinazione a razionalizzare i sentimenti, si percepisce nelle sue lettere il legame emotivo significativo che ebbe con lei.
Amalia, dal canto suo, provava per Sigmund un affetto sincero e si preoccupò del suo benessere fino alla vecchiaia. È stato riferito che, nonostante la sua età avanzata, Amalia era pienamente consapevole dei successi del figlio e, come ogni madre, ne era orgogliosissima.
Freud scrisse: “Una madre può trasferire su suo figlio l’ambizione che è stata costretta a reprimere in se stessa e può aspettarsi da lui la soddisfazione di tutto ciò che le è rimasto del suo complesso di mascolinità” (Freud, “Conferenza XXXIII, Femminilità”, nuove lezioni introduttive sulla psicoanalisi, Vol. XXII [1934-36]).
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Morte
Quando Amalia morì, all’età di novantacinque anni, Freud non sperimentò altro se non “un aumento della libertà personale” e il sollievo di non essere morto prima di lei, che era una delle sue grandi apprensioni (“Lettera a Ernest Jones”, citata il 30 agosto 1930, in E. Jones, La vita e l’opera di Sigmund Freud).
Disse ancora Freud: “Se un uomo è stato il cocco indiscusso della sua mamma, per tutta la vita egli manterrà questo senso di trionfo… Del resto questa è la relazione perfetta, quella che contiene in sé la minore quantità di ambivalenza, di tutte le relazioni umane”.
Giuliana Proietti
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Dr. Giuliana Proietti
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Dr. Giuliana Proietti
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La Dottoressa Giuliana Proietti, Psicoterapeuta Sessuologa di Ancona, ha una vasta esperienza pluriennale nel trattamento di singoli e coppie. Lavora prevalentemente online.
In presenza riceve a Ancona Fabriano Civitanova Marche e Terni.
- Delegata del Centro Italiano di Sessuologia per la Regione Umbria
- Membro del Comitato Scientifico della Federazione Italiana di Sessuologia.
Oltre al lavoro clinico, ha dedicato la sua carriera professionale alla divulgazione del sapere psicologico e sessuologico nei diversi siti che cura online, nei libri pubblicati, e nelle iniziative pubbliche che organizza e a cui partecipa.
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