Fondamentalismo, terrorismo islamico e globalizzazione
Una lezione divulgativa su Freud e il suo libro "Totem e Tabù"
ANCONA FABRIANO TERNI CIVITANOVA MARCHE E ONLINE
L’estremismo riguarda ovviamente tutte le religioni, ma gli atti di terrorismo islamico stanno ottenendo, purtroppo, crescente attenzione visti i recenti episodi di cronaca. L’esempio più noto di terrorismo islamico è sicuramente quello legato allo Stato Islamico (IS) nato in Siria e in Iraq e poi diffusosi in altri paesi, dall’Afghanistan, all’Egitto, alla Libia e all’Algeria (Hoft, 2015).
Il terrorismo è un evento complesso e spesso non prevedibile, che rende difficile comprendere immediatamente la sua natura e le cause che lo determinano. In genere si cerca di trovare spiegazioni per tali atti collegandoli spontaneamente ad alcune cause (Shaver, 2012). In psicologia sociale, questa tendenza viene definita “attribuzione causale”.
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Fattori individuali che possono essere alla base del terrorismo sono il patriottismo (Sahar, 2008), le problematiche di tipo emotivo (Small, Lerner, e Fischhoff, 2006), i problemi infragruppo come ad esempio il mancato senso di appartenenza al gruppo (Doosje, Zebel, Scheermeijer, e Mathyi, 2007; Kimhi, Canetti-Nisim, e Hirschberger, 2009) oppure conflitti fra gruppi (Sidanius, Henry, Pratto, e Levin, 2004).
I primi psicologi sociali (Heider, 1958; Kelley, 1967) ritenevano che le persone attribuiscano le cause e le spiegazioni per gli eventi quotidiani adattandoli ai propri desideri, al fine di ottenere un senso di controllo e di prevedibilità sulla propria vita. Altri teorici (Bohner, Bless, Schwarz, e Strack, 1988; Olson, Roese, e Zanna, 1996) hanno ampliato questa teoria postulando che gli eventi più minacciosi hanno maggiori probabilità di innescare tali attribuzioni.
Stephan, Ybarra, e Morrison (2009) hanno teorizzato che nel contesto intergruppo, le persone possono sentirsi in pericolo per due tipi di minacce: minacce simboliche e minacce reali.
La minaccia simbolica si riferisce ad una minaccia proveniente dall’esterno nei confronti delle proprie norme, dei propri valori, o della propria cultura. I musulmani, ad esempio, considerano l’Occidente una minaccia simbolica all’esistenza islamica perché la globalizzazione ha diffuso nuove norme e valori, ispirati a stili di vita che sono in conflitto con quelli islamici e dunque minacciano la sopravvivenza delle tradizioni dello stile di vita islamico (Moghaddam, 2005).
La minaccia reale ha a che fare con una minaccia percepita nei confronti dell’economia, del potere, o della sicurezza del proprio gruppo. La supremazia occidentale in settori come l’economia, la tecnologia, e la politica hanno fatto intensificare la percezione dei musulmani che l’Islam sia in pericolo, il che riflette perché i musulmani vedano l’Occidente come una minaccia reale per l’esistenza islamica (Fair & Shepherd 2006 ).
La psicologia sociale ha da tempo studiato l’effetto dei pregiudizi etnocentrici (Weber, 1994) per cui i problemi interni vengono attribuiti a gruppi esterni, in modo tale che la colpa ricada sugli altri, piuttosto che sul proprio gruppo. Allo stesso tempo, per migliorare l’autostima di gruppo, i membri tendono a negare o a minimizzare le responsabilità del proprio gruppo.
Basandosi sul modello di attribuzione etnocentrica, si può dire che i musulmani vedano nell’Occidente sia una minaccia simbolica sia reale per l’esistenza del mondo islamico e questo può comportare due conseguenze: (1) una maggiore attribuzione esterna delle cause del terrorismo, ovvero accusano l’ovest di aver portato il terrorismo nei paesi islamici (2) una attribuzione delle cause del terrorismo agli islamisti radicali molto diminuita.
Il terrorismo è altamente correlato con il fondamentalismo. Altemeyer e Hunsberger (1992) hanno definito il fondamentalismo religioso come “la convinzione che vi siano un insieme di insegnamenti religiosi che contengono chiaramente le verità fondamentali, essenziali, infallibili sull’umanità e la divinità”.
Molti studiosi convergono sull’idea che tutte le grandi religioni del mondo abbiano in comune la resistenza a visioni del mondo alternative alla propria, l’intolleranza per le ambiguità, e una certa chiusura mentale (Moghaddam, 2008). Con queste caratteristiche, il fondamentalismo religioso è una forte causa di pregiudizi contro gli altri (Johnson, Rowatt, e Bouff, 2010), di atti di ostilità (Rothschild, Abdollahi, e Pyszczynski, 2009) e discriminazione (Kirkpatrick, 1993).
Duckitt (2006) ha rilevato che tra gli studenti universitari presso la Auckland University, Nuova Zelanda, vi era una certa sovrapposizione tra fondamentalismo religioso e autoritarismo di destra, caratterizzato da convenzionalismo, aggressività autoritaria, e bisogno di sottomettere le minacce provenienti dall’esterno (che in questo caso erano gli spacciatori di droga e le femministe): questi gruppi rappresentavano una minaccia simbolica (ad esempio, la minaccia verso le norme, i valori e le tradizioni), anche se non una minaccia reale (cioè nessuna minaccia alla stabilità sociale, alla sicurezza, e al controllo) per i membri del proprio gruppo.
Monroe e Kreidie (1997) hanno stabilito che il fondamentalismo religioso, in generale, ha a che fare più con le crisi di identità che con le crisi politiche ed economiche. In particolare, le crisi di identità denotano il timore di estinguersi come popolo o l’assorbimento in una cultura diversa in una sorta di omogeneizzazione (Marty & Appleby, 1991).
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Come spiega Hofstede (1991), le persone con problemi di identità “si sentono minacciate da situazioni incerte o sconosciute”. L’elevata incertezza porta a vedere i valori, le norme e le culture altrui come una minaccia (Stephan et al., 2009).
Brandt e Reyna (2010) hanno invece scoperto che il fondamentalismo religioso comporta una maggiore preferenza per l’ordine e la prevedibilità, la risolutezza, e un maggiore disagio nei confronti dell’ambiguità. Questi autori concludono che il fondamentalismo religioso serva per attenuare l’instabilità e per mantenere le certezze.
Di recente è stato pubblicato sull’argomento uno studio indonesiano (vedi Fonte) dal quale si apprende che l’ Indonesia è il paese con il maggior numero di popolazione musulmana del mondo: vi vivono infatti 225.000.000 di musulmani (Budiman, 2013). Negli ultimi dieci anni, il terrorismo è diventato uno dei problemi più gravi in Indonesia (Arnaz & Marhaenjati, 2013).
Le autorità indonesiane hanno dunque compiuto molti sforzi per reprimere i gruppi terroristici, arrestando e uccidendo anche alcuni membri e presunti membri di gruppi terroristicii ed hanno fatto circolare informazioni su questi gruppi radicali, spiegando che sono loro i veri autori del terrorismo (Perdani & Parlina, 2014). Tuttavia, gran parte del pubblico indonesiano ha ignorato tali rapporti ufficiali in quanto tende a ritenere che sia stato l’Occidente a portare il terrorismo in Indonesia (Jones, 2009; Mashuri & Zaduqisti, 2014,). Essi credono che l’Occidente sia il vero terrorista, mentre gli islamisti radicali indonesiani sarebbero solo i loro burattini (Hilmy, 2010).
Mashuri, Zaduqisti, Sakdiah, e Sukmawati (2015) hanno scoperto che, nel contesto indonesiano, il fondamentalismo islamico percepisce l’Occidente come una minaccia simbolica (vale a dire, minaccia per le tradizioni e la cultura islamica), anche se non vi è la percezione di una minaccia per l’esistenza reale (cioè la minaccia per il potere economico e politico dei musulmani).
La conclusione dello studio indonesiano è che i musulmani più fondamentalisti percepiscono l’Occidente come una minaccia soprattutto simbolica, anche se hanno anche una paura reale nei confronti della globalizzazione, che ha permesso l’ingresso nel loro paese di economie e tecnologie occidentali, le quali sono avvertite come una minaccia reale per il potere islamico.
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Fonte: Mashuri A, Akhrani LA, Zaduqisti E. You Are the Real Terrorist and We Are Just Your Puppet: Using Individual and Group Factors to Explain Indonesian Muslims’ Attributions of Causes of Terrorism. Wentink Martin N, ed. Europe’s Journal of Psychology. 2016;12(1):68-98. doi:10.5964/ejop.v12i1.1001.
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Dr. Giuliana Proietti
Psicoterapeuta Sessuologa
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La Dottoressa Giuliana Proietti, Psicoterapeuta Sessuologa di Ancona, ha una vasta esperienza pluriennale nel trattamento di singoli e coppie. Lavora prevalentemente online.
In presenza riceve a Ancona Fabriano Civitanova Marche e Terni.
- Delegata del Centro Italiano di Sessuologia per la Regione Umbria
- Membro del Comitato Scientifico della Federazione Italiana di Sessuologia.
Oltre al lavoro clinico, ha dedicato la sua carriera professionale alla divulgazione del sapere psicologico e sessuologico nei diversi siti che cura online, nei libri pubblicati, e nelle iniziative pubbliche che organizza e a cui partecipa.
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