Siddharta Gautama, detto il Buddha: una biografia
Cosa significa Buddha?
Buddha non è un nome proprio di persona, ma è un titolo e significa “illuminato”. Il titolo è paragonabile al titolo Cristo per quanto riguarda Gesù. Unica differenza: il termine Cristo indica una identità, mentre il termine Buddha esprime una condizione, un modo di essere che è la meta a cui tutti possono giungere.
Come si chiamava veramente il Buddha?
Intanto chiariamo che nella storia vi è stato un solo Cristo, ma vi sono stati numerosi Buddha. Il Buddha che conosciamo noi occidentali è Siddharta Gautama, dove Siddharta è il nome proprio, che significa “Colui che ha raggiunto il suo scopo”, mentre Gautama è il nome di famiglia, o cognome.
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Quando visse Siddharta Gautama?
Non si conosce con precisione né la data di nascita, né la data di morte, anche se gli studiosi la collocano intorno agli anni 566-486 A. C. Non vi sono dubbi invece sulla città di nascita, che è Lumbini, nell’attuale Nepal e la città della morte, che è Kushinagar, nell’attuale stato indiano dell’Uttar Pradesh. C’è accordo sul fatto che la sua vita durò circa ottanta anni.
Perché non esistono biografie ufficiali del Buddha?
Buddha non scrisse nulla di autobiografico: conosciamo i suoi insegnamenti tramite seguaci e poeti che scrissero di lui dopo la sua morte, più di duecento anni dopo ed anche dopo l’inizio dell’era cristiana.
Le biografie esistenti contengono molte leggende e tradizioni legate ai luoghi dove sono state scritte: per questo non possiamo parlare di verità storiche, ma di verità ‘culturali’, nel senso che ci fanno capire dove si innestano i fondamenti del Buddismo.
Le prime biografie di Budda furono scritte in lingua Pali o in Sanscrito: alcune di esse, come ad esempio La Grande Storia – Mahavastu – sono incomplete, nel senso che non raccontano la sua intera vita, ma si soffermano in particolare su alcuni episodi, come la sua illuminazione; altre biografie invece seguono il personaggio fino alla sua morte.
Esistono inoltre altre biografie, più recenti, della vita di Buddha, scritte in cinese o tibetano e spesso in dialetti locali, come il cingalese, il burmese, il Thai, il Khmer, il mongolo, il coreano: non parlano solo della vita dell’illuminato, ma sono libri di preghiera e di meditazione basati sugli episodi della vita di Buddha.
Vi sono anche storie del Buddha tramandate in forma artistica?
Si. Le prime storie sulla vita del Buddha non erano testi letterari, ma bassorilievi, trovati nell’India centrale. Per esempio in una delle colonne del Portale Nord della città di Sanchi, c’è una rappresentazione di una scimmia che offre un vaso di miele a Buddha, la cui presenza è simbolizzata da un albero e da un trono vuoto: non vi erano ancora rappresentazioni antropomorfe, come forma di rispetto, e Buddha veniva rappresentato come un albero, una ruota o una serie di impronte di piedi. Sicuramente gli artisti del tempo si riferivano ad una tradizione orale diffusa ed ai testi che conoscevano, i quali a loro volta venivano influenzati dalle riproduzioni artistiche del tempo.
Da che tipo di famiglia proveniva?
La sua famiglia era ricca e potente, un clan di guerrieri che amministravano la loro piccola repubblica in modo oligarchico. Il padre, Suddhodana viene presentato dalla tradizione come un vero re (il signore del regno dei Sakya, una regione che corrisponde all’odierno Nepal), ma forse era solo un signore molto benestante. La madre, Mayadevi, o anche solo Maya, morì una settimana dopo il parto del figlio, tanto che il bambino fu accudito dalla zia materna, Mahaprajapati, che fu in seguito la prima donna a farsi monaca buddista.
Come trascorse la giovinezza?
Si racconta che il piccolo Siddharta ebbe una infanzia molto felice e ricevette òla migliore educazione a livello culturale, artistico e atletico, finché a 16 anni sposò la principessa Yasodhara, detta Gopa. Tredici anni dopo la coppia ebbe un figlio, Rahula. A ventinove anni, subito dopo la nascita del figlio, Siddharta decise di abbandonare la reggia paterna, all’insaputa di tutti.
Le notizie più leggendarie raccontano che il piccolo Buddha fu mostrato a suo padre, il quale, vedendolo, cadde in adorazione; che fu mostrato agli dei del suo clan e le statue di questi dei caddero in frammenti ai suoi piedi. Siddharta bambino fu inoltre mostrato ai sacerdoti bramini, i quali predissero che egli sarebbe diventato il Buddha vedendo alcuni segni sul suo corpo.
Perché Siddharta si allontanò dalla reggia paterna?
La leggenda narra che il giovane fu molto colpito dalla visione di un vecchio, un malato e un morto: questo era nettamente in contrasto con l’atmosfera felice in cui era vissuto da ragazzo. Dopo questa esperienza iniziò un duro apprendistato ascetico presso vari maestri, per circa sei anni.
In questo periodo studiò i massimi sistemi filosofici dell’induismo, Shamkya e Vedanta, poi cercò la via spirituale attraverso la mortificazione del corpo (digiuni e pratiche ascetiche), senza però trovare in queste pratiche le risposte che cercava.
La leggenda narra che un giorno, ridotto quasi in fin di vita, incontrò una donna che lo nutrì con latte e riso e lo incoraggiò a nutrirsi, spiegandogli che gli eccessi non possono portare alla verità, così come le corde troppo lente o troppo tese di uno strumento musicale non possono dare il giusto suono.
Giunse in questo modo all’individuazione di un sentiero di mezzo, punto di equilibrio fra la vita dedita esclusivamente ai piaceri e l’ascesi più dura dei maestri spirituali che aveva frequentato. Tale sentiero di mezzo lo condusse all’illuminazione (bodhi), avvenuta nella città di Bodh Gaya, dopo un periodo di intensa meditazione (secondo la tradizione durata 49 giorni).
Dopo l’illuminazione, a 35 anni, Siddharta divenne il Buddha, cioè il Risvegliato, l’Illuminato.
Cosa fece il Buddha dopo l’Illuminazione?
Le sue prime parole, riportate dal Dhammapada (opera paragonabile, per importanza, ai nostri Vangeli), sono le seguenti:
“Per vite innumerevoli ho vagato, cercando invano il costruttore della casa della mia sofferenza. Ma ora ti ho trovato, costruttore di nulla da oggi in poi. Le tue assi sono state rimosse e spezzata la trave di colmo. Il desiderio è tutto spento; il mio cuore, unito all’increato”.
Comincia qui la terza fase della vita del Buddha, quella dedicata all’insegnamento, durata all’incirca quarantacinque anni.
Quale è il punto centrale nel pensiero del Buddha?
Il punto più importante del pensiero buddista è il rapporto fra conoscenza e guarigione: la conoscenza non deve essere fine a se stessa, ma finalizzata alla guarigione. La guarigione avviene attraverso un processo al cui vertice c’è la conoscenza. Secondo il Buddha si conosce per guarire, risanando la mente dall’ignoranza.
Nel buddismo ci sono dogmi, come ad esempio nel Cristianesimo?
No. Buddha assegna il primato alla spiritualità e non ai dogmi.
Cosa è la parabola della zattera e perché è importante?
La parabola racconta di un uomo che giunge alla rive di un fiume. Vedendo l’altra sponda come migliore di quella cui era arrivato, decide di costruirsi una zattera, per passare dall’altra parte. Giunto a destinazione, l’uomo è molto grato alla sua zattera, ma ora che ha svolto la sua funzione, decide di abbandonarla, per poter proseguire il suo cammino. Il Buddha spiega: “Vi ho mostrato, o monaci, come l’insegnamento sia simile a una zattera, la quale è costruita allo scopo di traghettare e non di mantenercisi attaccati”.
La parabola spiega come occorre sentirsi liberi da ogni volontà di possesso e cercare piuttosto di proseguire il proprio cammino.
Cosa è la ruota del Dharma?
La ruota del Dharma, rappresentata da otto raggi e simbolo del buddismo, per essere compresa deve essere paragonata a un’altra ruota: quella dell’esistenza.
La ruota dell’esistenza (bhavacakra) gira ininterrottamente e rappresenta il ciclo vita-morte-rinascita, in modo inconcludente. Per uscire fuori da questa ruota occorre servirsi della ruota del Dharma, che permette a chi vi sale di liberarsi dalle catene. La ruota del Dharma si innesta nella ruota dell’esistenza e permette di uscirne, raggiungendo, in una corrente ascensionale, la liberazione, detta nirvana.
La ruota dell’esistenza è guidata da una logica detta karma, mentre la ruota che porta all’Illuminazione è quella del Dharma.
Cosa è il nirvana?
Letteralmente significa “non-soffio”, “estinzione -del-soffio”. Raggiungere il nirvana significa liberarsi da tutte le ossessioni, le preoccupazioni e i tormenti della vita umana, per vivere in modo gioioso, pieno di amore universale, di compassione, di bontà, di simpatia, di comprensione e di tolleranza. In altre parole si tratta dell’estinzione della dimensione materiale dell’essere, in favore della sola dimensione spirituale.
Cosa è il karma?
E’ una visione dell’universo, secondo cui ogni azione, anche la più piccola, viene registrata e genera conseguenze, positive o negative, a seconda della qualità dell’azione. Nella vita ciascuno raccoglie ciò che ha seminato, ma a differenza di quanto avviene nella religione hindu, il karma del Buddha non si basa tanto sulle azioni, quanto sulle intenzioni. Questo sposta il buddismo dalla liturgia all’etica, dalla religione alla spiritualità, dall’esteriorità all’interiorità.
Quando si muore, le sole cose che ci daranno continuazione sono i nostri pensieri, le nostre parole e le nostre azioni, ossia il nostro karma: riceveremo i frutti di qualunque azione che abbiamo compiuto.
Come fa l’essere umano a salvarsi con le sue forze?
Grazie a una triplice sinergia: 1) La dottrina del Buddha, 2) I meriti personali nel seguire l’ottuplice pensiero (vedi più avanti) 3) La logica giusta e infallibile del karma.
Per il Buddha il primato non è nei libri sacri o nelle gerarchie religiose, ma sempre nell’individuo e nella sua coscienza. Obiettivo della vita è la conoscenza, ma il modello indicato non è quello del dotto, quanto quello del saggio, non è il saper discettare su tutto, ma essere sapienti e preferire il silenzio.
Quali sono le tesi centrali dell’insegnamento del Buddha?
Il primo discorso del Buddha è noto per l’esposizione di quattro tesi, o “nobili verità”. Esse sono le seguenti:
1) universalità della sofferenza
Nel discorso di Sarnath la tesi viene formulata così:
‘La nascita è sofferenza, la vecchiaia è sofferenza, la malattia è sofferenza, la morte è sofferenza, essere uniti a ciò che non si ama è sofferenza, essere separati da ciò che si ama è sofferenza, non realizzare il proprio desiderio è sofferenza…’.
Per il Buddha ogni essere umano, per il fatto di essere nato, è stato colpito da una freccia: ogni nato è ferito e sofferente. Il mondo è “un grande ammasso di dolore”
2) causa della sofferenza
La seconda nobile verità parla del desiderio, dell’attaccamento, che è la causa del dolore umano. Il desiderio deve essere lasciato andare. Il Buddha volle che all’ingresso di ogni monastero fosse esposto un particolare mandala, che rappresenta tre animali che si mordono, a cerchio, la coda: essi sono il gallo (simbolo della passione amorosa), il serpente (inimicizia), il maiale (ignoranza). La sofferenza umana dipende da questi tre animali, nascosti nella nostra mente.
3) possibilità di superamento della sofferenza
La terza verità sostiene che si può superare l’ignoranza, cercando di essere ‘lanterne di se stessi’, senza bisogno di ausili esterni, arrivando così alla liberazione. Occorre per questo innalzarsi al di sopra del proprio pensiero ordinario, riconoscendone capacità e limiti.
4) modo per superare la sofferenza
La quarta verità indica la via che conduce all’estinzione della sofferenza: un ottuplice sentiero di rette opinioni, retto scopo, rette parole, retta azione, retto modo di esistere, retto sforzo, retta attenzione, retta meditazione. Chiunque si incammini su questa via di otto sentieri paralleli non vuole ottenere paradisi o evitare inferni: il suo scopo è quello di raggiungere l’esatta percezione dell’universo in cui è immerso, che è un continuo aggregarsi e disgregarsi.
In esso, nulla è permanente, tanto meno il proprio ‘io’. Chi comprende questo ha sconfitto l’ignoranza, ha spezzato le catene, ha raggiunto il Nirvana, cioè ‘estinzione’ uno stato mentale raggiungibile in vita solo quando tutti gli attaccamenti sono estinti.
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Cosa fare, in pratica, per seguire l’ottuplice sentiero della quarta verità?
Si comincia in genere dalla retta parola: attenzione al linguaggio, evitando di pronunciare calunnie, menzogne, pettegolezzi, futilità, chiacchiere.
A questo segue la retta azione: astenersi dall’uccidere, dall’impossessarsi dei beni di altri, dalle attività sessuali illecite, dalle menzogne, a ogni bevanda inebriante (questo vale per tutti i seguaci): per i monaci valgono inoltre l’astensione da ogni cibo solido dopo il pranzo, astensione dalla musica e dalla danza, astensione dai profumi e dai gioielli, astensione dalla vita comoda, astensione dal toccare denaro o oggetti di valore.
Per la retta sussistenza evitare mestieri che introducono energia negativa nel mondo, come commercio di alcol, di armi, di uccisione di animali tramite la caccia, ecc.
La dimensione contemplativa riguarda il retto sforzo, la retta consapevolezza e la retta concentrazione.
Secondo il Buddha ciò che fa superare la sofferenza è la visione profonda, che deriva dalla consapevolezza e dalla concentrazione e che conduce chi la consegue a radicarsi nel presente. La vera felicità non dipende dagli altri, ma da noi stessi e, perché questo possa succedere, occorre riportare la mente al presente.
Non si tratta quindi tanto di apprendere, quanto di apprendere per trasformarsi: trasformare la propria visione del mondo si trasforma se stessi e il proprio mondo.
Ci sono molte scuole di buddismo?
Si. Le diverse interpretazioni che cominciarono a fiorire alla morte del maestro diedero origine a molte scuole non solo in India, ma anche in gran parte dell’estremo oriente. Dal diciannovesimo secolo in poi il buddhismo ha attratto su di sé anche l’attenzione degli studiosi occidentali: chi imbocca la strada del buddismo vi trova una religione, una scienza della mente, uno stile di vita tollerante e non violento, da contrapporre a tutte le forme di violenza: militari, politiche, sociali ed economiche.
Dr. Giuliana Proietti
Intervento del 14-09-2024 su Sessualità e Terza Età
Dr. Giuliana Proietti
Questa biografia è in gran parte basata sulla trattazione di Vito Mancuso: “I quattro maestri”, edito da Garzanti.
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Dr. Giuliana Proietti
Psicoterapeuta Sessuologa
TERAPIE INDIVIDUALI E DI COPPIA
ONLINE
La Dottoressa Giuliana Proietti, Psicoterapeuta Sessuologa di Ancona, ha una vasta esperienza pluriennale nel trattamento di singoli e coppie. Lavora prevalentemente online.
In presenza riceve a Ancona Fabriano Civitanova Marche e Terni.
- Delegata del Centro Italiano di Sessuologia per la Regione Umbria
- Membro del Comitato Scientifico della Federazione Italiana di Sessuologia.
Oltre al lavoro clinico, ha dedicato la sua carriera professionale alla divulgazione del sapere psicologico e sessuologico nei diversi siti che cura online, nei libri pubblicati, e nelle iniziative pubbliche che organizza e a cui partecipa.
Per appuntamenti:
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